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martedì 9 dicembre 2014

SANDRO GOZZO

Una volta scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio?

Sandro Gozzo


Partiamo dall’inizio, come mai ha scelto di non fare la leva militare?
Lavoravo come insegnante elementare già dall’età di 19 anni e frequentavo l’università, così ho potuto rinviare il servizio militare (che allora ti arruolava a 18 anni se non studiavi) e ciò mi ha permesso di riflettere per ben 6 anni e di fare una scelta ponderata, idealmente motivata, senza cercare espedienti per evitare il problema, per “imboscarmi” come si diceva allora. A dir la verità, nell’adolescenza pensavo di fare il carabiniere perché mi sentivo attirato dall’impegno nell’arginare la violenza e l’ingiustizia, ma poi. Nel 1976 ho deciso di approfittare della legge 772 del 1972 e di fare il servizio civile alternativo.
Furono soprattutto le letture di diversi autori del mondo cattolico e cristiano che mi convinsero a rifiutare l’esercito sulla base di una forte motivazione “religiosa".
Compresi le cause delle ingiustizie e delle violenze nel mondo e meditai a lungo sui pericoli che ancor oggi ci sovrastano, gli enormi progressi del diritto, della medicina e delle altre scienze, della tecnica, delle arti, della politica, della letteratura, delle scienze umane e dell’educazione, progressi che portano alla crescita del benessere per tutti e alla diminuzione della violenza (v. Steven Pinker, “Il declino della violenza”, Mondadori 2013).
Compresi d’essere responsabile di tutto: il potere è la sottomissione è l’assenso all’ubbidienza (Vladimir Bukosky, “Il vento va e poi ritorna” Feltrinelli 1978) e imparai ad essere obbediente ai principi e disobbediente verso le leggi, le strutture o i governanti che li trasgrediscono o li contraddicono.
Scelsi, grazie alla convenzione nazionale della Caritas, di svolgere il servizio in Calabria, in una comunità della “Piccola opera Papa Giovanni” con la quale ancor oggi ho contatti frequenti e progetti in comune.

Se tornassi indietro lo rifaresti o sceglieresti un’altra strada?
In ossequio provocatorio ad un vecchio detto del diritto militare “semel miles, semper miles”, (una volta soldato si è soldati per sempre) applicato agli obiettori di coscienza direi così: semel obiciens, semper obiciens! E oggi si potrebbe dire: una volta che hai scelto la solidarietà devi essere per sempre una persona solidale. Una volta scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio? Anche se pare assurdo, si può tornare indietro da ogni scelta. Sono molti gli amici che hanno fatto il militare i quali affermano che non lo rifarebbero, mentre ho conosciuto solo un amico che ha abbandonato la nonviolenza per darsi alla clandestinità e diventare un terrorista. Qualche volta sarei tentato anch’io di diventare violento con i violenti e i padroni del mondo ben sapendo che cosa diceva la bibbia già 200 anni prima di Cristo sull’indissolubile vincolo tra pace e giustizia, tra mezzi e fini.
Più frequentemente sarei tentato di farmi assorbire nella comoda mediocrità dove l’indifferenza regna sovrana, dove la responsabilità per i mali del mondo è sempre degli altri o del destino, ma spero che siano i giovani ad essere più radicali di me nella scelta della pace, della nonviolenza, della fratellanza universale e di rinfacciarmi quello che ho scritto e che ho fatto se dovessi rimangiarmi le scelte giuste, cioè quelle sulla strada del bene e della speranza. I cinici, gli egoisti e i disperati non hanno mai cambiato il mondo in meglio e rappresentano la zavorra che sta affossando la storia umana.

Ti senti un difensore della Patria?
Come scrissi nella mia dichiarazione di autoriduzione “Ho scelto il servizio civile perché ritengo che le vere guerre da combattere siano quelle contro l’ingiustizia che si manifesta in sfruttamento, in emarginazione, in dipendenza culturale o in mille altre forme di violenza evidente od occulta. Condividere queste situazioni e lottare per liberarsi rappresenta l’autentica difesa della patria, un dovere sacro che ogni cittadino dovrebbe rispettare per camminare verso l’internazionalismo e la pace senza barriere e corazze inutili”.
Il concetto di Patria è tutto da rivedere. Piuttosto appartengo ad una nazione, cioè ad un luogo in cui sono nato, ma la mia paternità ideale è il mondo: siamo tutti cittadini del mondo. Piuttosto riconoscerei l’Europa come la mia patria e “màtria” attuale, scusate il gioco di parole, ma è per evidenziare un concetto di figliolanza culturale che dipende ormai da una cultura “cosmopolita” e da una “coscienza planetaria”. Non so se per voi queste parole abbiano il senso profondo che io attribuisco a loro, ma non ne ho altre di migliori per esprimere quella verità pericolosa del termine che Dürrenmatt condensava nella frase “quando lo stato si prepara ad uccidere si fa chiamare Patria”.

Come mai la scelta dell’ autoriduzione del servizio civile?
Il servizio Civile durava allora 8 mesi in più del servizio militare e l’obiettore era un dipendente dell’esercito. La legge 772 del 1972 era stata definita dagli obiettori come una legge truffa, ma a parte i pochi giovani anarchici che rifiutavano anche il servizio civile e i molti testimoni di Geova, nessuno aveva inventato una protesta nonviolenta che fosse davvero efficace, mettendosi contro la legge e rischiando il carcere pur rispettando la legge, cioè svolgendo il Servizio Civile solo per un anno come quello militare.
Organizzai l’autoriduzione come protesta contro la militarizzazione del servizio civile e la punitività della legge.
Questa protesta coinvolse una ventina di giovani nella decina di anni in cui durò, ma non fu condivisa pienamente dal Movimento Nonviolento, né dalla LOC, bensì soltanto da Radicali e anarchici, e da alcuni gruppi sensibili dell’ambito cattolico. Per tale motivo la protesta invece di pochi mesi, durò molti anni. Eravamo troppo pochi a sfidare le istituzioni e ad accettare il rischio della punizione del carcere dove, comunque, solo io tra gli autoriduttori fui rinchiuso per 5 mesi, infatti furono subito riconosciute le eccezioni di incostituzionalità al secondo processo di Silverio Capuzzo e nessun altro autoriduttore stette in carcere per più di una settimana. Le due eccezioni riguardavano la giurisdizione, cioè il fatto che noi non volevamo dipendere dalla stessa autorità che rifiutavamo, e la durata del servizio che avrebbe dovuto essere identica a quello militare..
Fui il primo ad iniziare in Italia questa protesta assieme a Silverio Capuzzo di Lova e a tutti gli autoriduttori che continuarono poi la battaglia fino alla vittoria di alcuni anni dopo, quando la Corte Costituzionale ci diede ragione e smilitarizzò prima il servizio e poi lo equiparò per durata a quello militare. Dopo il pronunciamento dell’alta Corte provai un senso di grande soddisfazione nel sentire i giudici che sostenevano con forza le stesse tesi per le quali altri loro colleghi mi avevano imprigionato. È con orgoglio che posso dire di aver individuato con i miei amici la lotta nonviolenta che ha portato all’istituzione del nuovo Servizio Civile nella forma in cui oggi si svolge. Proprio così lo desideravamo!

Sapevi che saresti finito in carcere ? La tua famiglia ti appoggiava?
La mia famiglia mi ha sempre sostenuto. Mio padre venne anche al processo di Palermo. Fu molto triste quando incrociò il mio sguardo mentre uscivo dal cellulare (così si chiamava il pulmino dei detenuti) e vide che ai polsi avevo due enormi manette e una lunga catena tenuta da un carabiniere. Non dimenticherò mai quello sguardo turbato e quella silenziosa presenza. Lo salutai e lui non disse nulla, ma sapevo che era orgoglioso della scelta di suo figlio e con lui anche mia madre, mia sorella e gli altri quattro fratelli maschi che pure avevano fatto il servizio militare prima di me.

Sì, sapevo di finire in carcere, ma contavo sulla sollevazione di tutti gli altri obiettori. Un po’ come i giovani antinazisti tedeschi della Rosa Bianca… ma essi pagarono con la vita la pusillanimità dei coetanei. Ci furono diverse manifestazioni, petizioni e altri proteste, ma i 40 obiettori che a Bologna con Silverio Capuzzo avevamo riunito due mesi prima da tutta Italia e che sembravano decisi a fare l’autoriduzione per riempire le carceri secondo un “protocollo” tipico delle azioni nonviolente di Gandhi e King, una volta che mi videro in galera, si ritirarono da quel tipo di lotta. Solo Silverio Capuzzo continuò e dopo il suo processo nessuno finì più imprigionato perché fu rinviata la questione alla Corte Costituzionale. Tuttavia la protesta non venne sostenuta degli stessi nonviolenti e tale rigidità mentale allungò i tempi a dismisura e divise il movimento già allora frammentato. Solo il MIR di Padova sostenne costantemente e con forza, la protesta degli autoriduttori più della Loc e del Movimento Nonviolento a cui non dispiacevano i mesi in più (per “selezionare” i “migliori”, i più convinti) e fu grazie a quel sostegno controcorrente che la Corte Costituzionale arrivò ad obbligare il parlamento a rivedere la legge. Quanti anni furono sprecati per la divisione interna ai pacifisti e quanti giovani, soprattutto le donne, dovettero rinunciare al Servizio dal 1979 al 2002 quando finalmente dopo 22 anni entrò in vigore la legge 6 marzo 2001 n° 64 e poi fino al 1° gennaio 2005, quando il Sevizio diventò volontario!

Questa scelta come ha influito nella tua vita, nel rapportarti con le ingiustizie e istituzioni?
Vorrei spendere due parole sul periodo di reclusione, perché finora nessuno mi ha chiamato mai a parlarne specificatamente. Il carcere militare è quasi uguale nella struttura a quello civile, ma molto diverso è il clima interno per la presenza di coetanei giovani, per la specificità dei reati, per il frequente avvicendamento e quindi per l’assenza del nonnismo.
Il carcere è un sistema necessario per frenare gli eccessi della trasgressione alle leggi fondamentali della convivenza, ma il modo in cui la reclusione viene realizzata, salvo oasi felici, va modificato nell’ottica della legge Gozzini, la più avanzata del mondo.
La punizione peggiore consiste nella privazione della libertà che è il bene supremo. Allo stesso tempo ti accorgi che la libertà è essenzialmente mentale e ancor più interiore, spirituale. Questa consapevolezza ti rinforza invece di indebolirti, ti sostiene, ti rende orgoglioso e progressivamente coraggioso. Anche il coraggio si impara, come l’orgoglio per la difesa dei valori e la disciplina dell’attesa. Tutto si impara. E spesso nel carcere si impara a diventare cattivi perché si è “captivus”, cioè preso e collocato in un luogo dai “ristretti orizzonti”, come gli animali in gabbia.
Non auguro il carcere a nessuno, ma un periodo di auto-reclusione (magari in un convento a meditare) lo consiglierei a tutti per comprendere che esiste un mondo nascosto, parallelo, assurdo… e per tanti altri motivi: per imparare la lezione del silenzio e della riflessione; per ridare valore alla parola e contrastare la confusione; per un apprendistato che abitui alla gestione sobria e comunitaria e per disabituarci alla babele dell’individualismo e del liberismo sfrenato; per una comprensione profonda dell’amicizia possibile con ogni essere umano; per tessere relazioni anche con i nemici, i diversi, i lontani; per capire la povertà dei poveri, la carenza di cultura, del possesso della lingua e il grave pericolo dell’ignoranza e della stupidità umana, molto più dannoso della malvagità stessa.
In carcere, poi, sono stato “adottato” come prigioniero per reati di opinione da Amnesty International. Tutti dovremmo iscriverci e versare ad AI una “decima” in qualsiasi gruppo o associazione in cui siamo impegnati! Il lavoro di Amnesty è unico! Nel 1979 ci furono le prime elezioni europee e questa associazione aveva denunciato la presenza di persone perseguitate per motivi di opinione in Italia. Le elezioni europee non dovevano trovare uno stato italiano in difetto rispetto a quei diritti umani la cui difesa, da Beccaria a Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, ci aveva reso degli antesignani esemplari e questo fu forse un motivo che mi fece scarcerare poco prima di quelle elezioni con 2 mesi di anticipo sulla pena di 7 mesi.

Cosa porti dentro di quel periodo?
È stato un periodo “mitico”. Ho conosciuto in un solo anno tanti mondi differenti. Per primi ho conosciuto “i meridionali” e da allora mi sento un calabrese di adozione. Mi sono innamorato di quella terra straordinaria e ho capito che tutto il mondo è paese. Ho assistito al primo nucleo di giovani che, aggregati da un prete straordinario come don Italo Calabrò, hanno rifiutato di migrare al nord cercando di ricostruire in terra di ‘ndrangheta focolai di giustizia sociale, di rispetto e di rifiuto delle logiche violente. Ho dormito per 12 mesi in un prefabbricato della Caritas che agli occhi della gente era un mini-manicomio, ma in realtà lì si realizzava, attraverso l’ergoterapia, l’alternativa agli ospedali psichiatrici di cui Basaglia era allora l’anticipatore. Sono entrato nella malattia mentale e da lì ho iniziato a non aver paura del diverso e di temere piuttosto le istituzioni totali: questo è il seme che ha dato inizio all’associazione “Il Portico”, nato a Dolo pochi anni dopo con tanti altri amici che ancor oggi condividono quelle idee (da Melito Porto Salvo, dove ho svolto il Servizio Civile, sono venuti a trascorrere le vacanze con noi anche quest’anno 12 persone, 9 delle quali con disabilità mentale. Dopo quasi 40 anni il contatto che ho aperto con gli amici di Reggio Calabria è ancora attivo! Non è incredibile? Spero che a tutti i giovani venga la voglia di prolungare nel tempo i contatti unici e preziosi che si intrecciano durante il Servizio Civile!)
Ho conosciuto la solidarietà di tanti amici che hanno sostenuto la mia scelta radicale anche nella lotta politica nonviolenta contro uno stato che ancor oggi è ciecamente militarista e che non trova opposizione significativa nemmeno nella Chiesa (è il caso di dire, a proposito di papa Francesco, che “un papa non fa primavera” se tutte le altre rondini non arrivano negli stessi cieli).
Studiando la pedagogia ho capito che noi impariamo tutto. La risposta violenta è un fatto culturale ed è essenzialmente politico. Solo l’educazione toglie l’essere umano dallo stato di ferinità, e ci stiamo riuscendo. Alfred Adler scriveva che “La tendenza ad agire per il bene comune è piuttosto debole nell’attuale stadio dello sviluppo dell’evoluzione, ma alla fine dovrà diventare automatica come il respiro o il cammino in posizione eretta. La soluzione dei problemi della società porterà alla soluzione dei nostri stessi problemi, quindi ogni uomo è coinvolto nella soluzione dei problemi della società in funzione del grado al quale è stato risvegliato o appreso il suo interesse sociale
Il motto che l’associazione “Il Portico” ha fatto proprio è questo: “Non dobbiamo essere in pochi a fare tanto, ma in tanti a fare un poco ciascuno”… dobbiamo sempre coinvolgere le persone che ci stanno attorno. Con discrezione, ma con fermezza. È più facile fare le cose individualmente che appassionare gli altri e farle assieme. « Da solo, cammino più veloce, insieme, camminiamo più lontano” (proverbio africano).

Cosa ti senti di dire a giovani del servizio civile e alle nuove generazioni che vengono a contatto con questa realtà?
Direi le stesse parole di Piero Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano: “Vi prego di guardare bene. Chi vi parla non è chi apparentemente vi sta di fronte, ma un giovane di non più di vent’anni, quel giovane che quasi mezzo secolo fa faceva obiezione di coscienza. Semplicemente come tale egli vi parla, come se fosse allora, ed i decenni trascorsi ad oggi tra le mille discussioni in cui si è venuto a trovare, farcite di tematiche e problematiche e analisi e teorie e modelli d’ogni genere in materia di pace e di guerra, non abbiano spostato in nulla quella sua originaria persuasione; e semmai siano serviti, quegli anni e discussioni, a renderlo sempre più convinto che quei miliardi di parole nella loro pretesa razionalità, scientificità e realismo a null’altro approdino che ai risaputi falsi sillogismi “che fanno in basso batter l’ali”; e alla resa dei conti, a condurre quel basso volo a sfracellarsi nel baratro della guerra. Sempre più persuaso che, se non vogliamo arrivare a quel tragico epilogo, prima che in quella voragine mortale ci si trovi in un silenzio ghiacciato dove ogni voce suona ormai assurda, pietrificata, vacua, non vi sia che da pronunciare una sola parola: no alla guerra, ad ogni guerra, fatta da chiunque, per qualsiasi ragione”.[ Pietro Pinna “La mia obbiezione di coscienza”, Edizioni del Movimento Nonviolento, 1994, Appendice 3]
Parole e concetti analoghi si trovano anche nel libro di Alberto Trevisan “Ho spezzato il mio fucile”, ma so che avete intervistato precedentemente questo mio amico e maestro.


lunedì 8 settembre 2014

ALBERTO TREVISAN

ALBERTO TREVISAN
La storia di chi ha avuto il coraggio di dire NO.


Ecco a voi l'esclusiva intervista ad Alberto Trevisan, obiettore di coscienza Nonviolento che ci teniamo a ringraziare facendogli sapere quanto ammiriamo il suo vissuto!
Avrete la possibilità di incontrarlo mercoledì sera all'evento del Il Portico a Dolo, ore 20.45.
Buona lettura a tutti!



1)      Partiamo dall'inizio, come mai ha scelto di non fare la leva militare?
-Ricordando la mia adolescenza, nei giochi da ragazzi, come quelli alla “guerra” tra bande io ero il primo ad “alzare bandiera Bianca”!
Forse una premonizione del mio pacifismo, del rifiuto anche dei giochi violenti, pur nei limiti dei giochi da ragazzi.
Ma la mia vera scelta di non fare il militare avviene in occasione della visita di leva ( 19 anni), dove notai soprattutto la spersonalizzazione delle giovani reclute e il clima cameratesco e autoritario delle caserme.
Gli agganci con il Vangelo e con i grandi testimoni di pace come Gandhi, Martin Luter King avevano già orientato il mio interesse verso la nonviolenza e il pacifismo.
Inoltre l'aver fatto parte di una “ comunità di base” alla luce del Concilio Vaticano II° ha rafforzato in me lo spirito nonviolento.



2)      Cosa l'ha spinta a lottare per questa opportunità di difesa?
- Le mie convinzioni, di cui sopra, non mi sembravano sufficienti ad affermare dei principi senza poi con coerenza perseguirli.
La nonviolenza non è una pratica “ passiva “ ma assai “ attiva “ in particolare quando si è di fronte a scelte fondamentali e bisogna agire secondo coscienza.
Per me il servizio militare non era che la preparazione alla guerra non con mezzi di pace ma di guerra.
L'addestramento previsto durante il servizio militare prevedeva la possibilità, anche se remota, di combattere contro un” nemico”.


3) Se tornassero indietro lo rifarebbero o sceglierebbero una altra strada?
- Pur dopo oltre 40 anni credo, da nonviolento e da obiettore di coscienza, non cambierei opinione e rifarei quanto ho fatto, pur valutando le diverse condizioni geopolitiche di quest'epoca, non certo tranquilla.
Sono stato in luoghi di guerra a fianco delle vittime e questo è un lavoro che anche i giovani del servizio civile dovrebbero tenere in considerazione.

4) Si sente un difensore della Patria?

- Non mi sono mai sentito difensore della Patria nel senso dell'art.52 della Costituzione che mi obbligava a svolgere il servizio militare.
Mi sono invece sempre sentito difensore della mia comunità e in particolare delle sue fasce più deboli.
Non è un caso che per oltre 35 anni ho lavorato nel sociale nei vari ambiti dell'emarginazione sociale e della devianza.



5)      Sapeva che sarebbe finito in carcere? La sua famiglia lo appoggiava?
Sapevo benissimo che sarei finito in carcere ma non sapevo quanto tempo avrei passato e quanti processi avrei subito. Ho speso quasi tre anni della mia giovinezza tra un carcere e l'altro,, compreso il carcere civile.  Per fortuna il 15/12”72 con la L.n.772, che riconobbe il diritto all'obiezione di coscienza , ritornai ad essere   libero cittadino.
Ma la mia vicenda si  concluse solo dopo 25 anni perchè mi sono opposto al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere  per cui hanno proceduto al pignoramento dei miei mobili, sino a quando l'ammnistrazione militare non mi ha più perseguito, certa che non avrei mai ceduto alle mie convinzioni.La mia famiglia era a conoscenza della mia scelta e senza la loro  vicinanza e la loro condivisione non  sono ancora convinto, a distanza di anni, se sarei arrivato alla fine di questo lungo percorso di pace.Papà e mamma sono stati dei veri maestri di vita!Per loro ho scritto il  libro - Ho spezzato il mio fucile. Storia di un obiettore di coscienza -, a loro l'ho dedicato. Il grande rammarico è stato che loro mi hanno lasciato troppo presto, senza poterlo leggere.
6)      Mi piacerebbe sapere come questa scelta abbia influito sulla sua vita. Sopratutto nel rapportarsi con le istituzioni e le ingiustizie?
- Come ho accennato prima, pur avendo già percorso gli studi del sociale, il mio contatto in carcere con i detenuti militari e non solo, mi hanno spinto a iniziare la strada professionale nel sociale: 25 anni in psichiatria, assistenza alle persone senza fissa dimora e ai “ minori stranieri non accompagnati “  che cominciavano ad arrivare in Italia o dall'Albania o dalla Romania o dalla Moldavia chi con le carrette della morte  chi nascosti sotto i camion.
Con le istituzioni mi sono sempre posto secondo le mie funzionali istituzionali, non rinunciando mai ai miei principi e, quando era necessario, aprendo vertenze a favore degli utenti disagiati.
Il mio impegno inoltre è stato anche quello di aver svolto attività politica e amministrativa, responsabile di  un assessorato, tra i primi in Italia, che oltre alla Pubblica istruzione, s'interessava di Educazione alla pace e ai Diritti umani.

7)      Cosa si porta dentro di quel periodo?
Non sarei sincero se non dicessi che mi sono portato da questa dura esperienza anche tanta sofferenza, a volte rabbia per essere ristretto per rivendicare ideali di pace in quasi tutte le carceri  militari, compreso Gaeta, un reclusorio veramente repressivo e violento. Ma non sono mai stato solo perchè sia assieme agli altri amici obiettori  e a tutti i detenuti si era instaurato uno spirito di solidarietà e di generosità  che, paradossalmente, al di fuori delle mure è difficile riscontrare. Poi le tante lettere di sostegno di amici, di familiari, di persone ,che, pur non conoscendomi, mi esprimevano la loro solidarietà
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8)      Ancora oggi è tra i giovani del Servizio Civile cosa sente di dover dire alle nuove generazioni che vengono ora a contatto con questa realtà?
-Da varie anni sono formatore dei giovani in servizio civile presso vari Enti, dalle Università ( Padova e Venezia) all'Anci del Veneto e Cooperativa sociali: ho conosciuto quindi  molti volontari.
Sono sempre stato solidale con loro per le difficoltà che devono affrontare, non ultimo l'esiguo compenso economico, ma ho sempre pensato che il servizio civile sia una possibilità per prendere contatto con la realtà lavorativa, associativa, del tempo libero e altre situazioni.
Inoltre si aprono prospettive nuove sia per il servizio civile e il progetto Garanzia Giovani.
Se saranno mantenute le promesse già a fine anno dovrebbero partire circa 34.00 volontari.
E che dire che molti volontari spesso sono poi inseriti dal punto di vista lavorativo negli enti dove hanno svolto il servizio civile.
Io sono ottimista e questo è il messaggio e l'augurio che mi sento di rivolgere a quanti hanno scelto o sceglieranno il servizio civile nazionale.

Alberto Trevisan
           

            


martedì 15 aprile 2014

25 aprile - Arena di Pace



LA RESISTENZA OGGI SI CHIAMA NONVIOLENZA, 

 

LA LIBERAZIONE OGGI SI CHIAMA DISARMO.



Riunirsi, anche da percorsi e strade diverse.
 

Tutti assieme convocatori, protagonisti e costruttori della prossima Arena di Pace e Disarmo che si terrà il 25 aprile 2014 a Verona, in Arena, appunto.


LA STORIA:
Le Arene sono i grandi momenti assembleari celebrati nell’Arena di Verona dal 1986 fino all’ultima del 2003,  famosa per aver lanciato la campagna delle bandiere di pace in ogni balcone. Promosse inizialmente dal movimento dei “Beati i costruttori di pace”, videro una forte partecipazione della società civile. Nelle assemblee, organizzate poi dal più vasto movimento per la pace, intervennero testimoni da tutto il mondo e furono messi a fuoco i grandi temi delle sfide della nonviolenza.

L’ARENA OGGI: A distanza di undici anni dall’ultima Arena, il popolo della Pace si unisce per intraprendere insieme una riflessione sul disarmo in Italia e nel mondo. Un grande raduno, dunque, per disarmare l’economia e la politica, partendo dal disarmare noi stessi. Si terrà il 25 aprile, festa della Liberazione, perché la Resistenza oggi più che mai, parte dal disarmo. Perché le armi, oggi, uccidono anche quando non sono usate, perché sottraggono con i costi della loro produzione fondi che potrebbero e dovrebbero essere destinati al welfare.
In tutta Italia si stanno organizzando comitati locali e percorsi preparatori in vista dell’evento. A Verona, tra gli iter significativi, una mostra dedicata alla pace e al disarmo, la presentazione del libro “F35 - L’aereo più pazzo del mondo” con Francesco Vignarca e Giuseppe Civati e la presentazione del libro di Sergio Paronetto (vice presidente nazionale di Pax Christi) “Don Tonino Bello, maestro di nonviolenza”. I Missionari Comboniani di Verona hanno dedicato il loro appuntamento mensile “I martedi del mondo” a quest’iniziativa, con un approfondimento sul tema della pace e della corsa agli armamenti. Anche altre città italiane si stanno muovendo per promuovere iniziative: tra queste vi sarà quella promossa dalla FIAB che organizzerà l’arrivo in Arena in bicicletta partendo da varie città italiane.

IL PROGRAMMA: La manifestazione inizierà subito dopo le celebrazioni ufficiali per la Liberazione che si terranno nella limitrofa Piazza Brà. Dopo alcuni momenti di animazione al di fuori dell’Anfiteatro romano, il popolo della Pace si sposterà al suo interno, dove per tutto il pomeriggio si alterneranno interventi di approfondimento e piccole performances musicali ad opera di grandi ospiti della società civile e del mondo dello spettacolo, tra cui Luigi Ciotti, Alex Zanotelli, Gad Lerner, Susanna Camusso, Cecilia Strada, Eugenio Finardi, Deborah Kooperman David Riondino, Pippo Pollina e moltissimi altri!! 

COSA FARE: C’è bisogno del contributo di tutte e tutti attraverso tre azioni: la partecipazione attiva il giorno del 25 aprile,  ma ancora prima l’adesione sul sito http://arenapacedisarmo.org  e la collaborazione fattiva, attraverso la diffusione di materiale inerente a questa giornata, come ad esempio volantini e locandine.

DOPO L’ARENA: L’Arena di Pace e Disarmo non può e non deve essere un punto di arrivo, ma un punto di partenza: il punto di partenza privilegiato, già forte di un grande percorso condiviso. Una partenza verso la campagna di disarmo e difesa civile 2014, che vede nell’opzione fiscale alle spese militari il suo punto centrale.
E’ indispensabile ribadire il ripudio della guerra e gli strumenti che la rendono possibile, ed affermare che la nonviolenza attiva è l’unico modo per sradicare oppressioni e risolvere conflitti.


Debra Cassani, Mirta Fabris, Marco Polimeni

Volontari in Servizio Civile presso la Casa per la Nonviolenza, Verona