martedì 16 dicembre 2014

Sandro Gozzo ai Volontari di SC

Appello ai giovani che oggi svolgono il Servizio Civile


Per valutare se il vostro Servizio Civile è “completo” come esperienza formativa, dovrete aver affrontato anche i temi dell’obiezione di coscienza, della nonviolenza, del pacifismo e della guerra, dell’antimilitarismo, dell’educazione ai diritti e ai doveri umani
Bisogna che ciascuno di voi riconosca di aver modificato qualcosa in meglio, anche di piccolo ma di significativo, nelle proprie abitudini e nella propria visione del mondo.

Alla domanda “che cosa avete imparato dal Servizio Civile” dovreste rispondere di aver appreso, oltre alle competenze specifiche e differenti a seconda dei luoghi e delle attività, alcune cose comuni e semplicissime. 
La prima è questa: il problema della pace è molto complesso. Esso richiede una riflessione profonda e continua. Questa riflessione si articola nei diversi settori di cui l’universo pacifista si compone. La letteratura specifica, gli studi e le esperienze in ciascun settore sono ormai tantissime e molto avanzate. 
Per questo motivo dovreste aver appreso che non si può improvvisare alcun discorso o problema sociale come se si fosse al bar, cioè senza considerare seriamente e per prima l’opinione di coloro che hanno già affrontato e risolto con successo quegli stessi problemi in tante parti del mondo. Esprimere le proprie opinioni (doxa), ascoltare con pazienza anche le più astruse e superficiali è azione vitale per il dialogo, ma ciò che cambia la storia e la nostra vita è trasformare mille voci in un coro
Le nostre opinioni personali sono importanti ma l’essenziale è saper riconoscere e accordarsi sull’opinione giusta (orto-doxa). 
Questo è difficile ma non impossibile. Chi non crede in questa possibilità è già schierato dalla parte dei conservatori dello status quo, cioè dalla parte di coloro che mai hanno voluto cambiare e mai hanno cambiato la realtà. 
La violenza e la guerra sono considerate ancor oggi come epidemie millenarie dell’umanità, ma a volte basta una saponetta, una bollitura o una goccia di vaccino per eliminare la condanna di flagelli secolari considerati punizioni di Dio fino all’altro ieri. Dovreste aver compreso che il vaccino contro la violenza è già stato inventato molti secoli fa, fu sperimentato individualmente da Socrate nel 400 a.C. da Massimiliano nel 295 d.C., da Francesco d’Assisi nel 1200, finché Gandhi, Luther King e tanti altri nel XX secolo lo usarono in forma “industriale” ottenendo risultati definitivi nella lotta al dominio straniero o all’apartheid. E tuttavia, anche nel loro caso, se una persona sola decide di non usare quel vaccino, la peste della violenza continua a contaminare tutti. Ciò significa che avremo sempre con noi e in noi la violenza, ma se sapremo bloccarla nel suo primo sorgere, nelle individualità fragili e malate; se tutti insieme sapremo arginare i focolai sempre rinascenti del sopruso fisico e ideologico e del dogmatismo fatalista, allora essa non diventerà mai “di massa” come nelle guerre. Tutto ciò che viene conquistato con le armi, deve essere difeso con le armi. Gli eserciti permanenti in tempo di pace sono la minaccia più grave alla pace stessa: così è scritto nella Dichiarazione dei Diritti della Virginia, ma l’articolo fu tolto nella Costituzione degli USA e da allora i disastri sono sotto gli occhi di tutti.
Dovreste essere convinti che non si può affidare a nessuna persona o organizzazione il monopolio della violenza, né la sua gestione e il suo esercizio: semmai il suo controllo va affidato a persone esperte nella risoluzione nonviolenta dei conflitti e non nella loro “soluzione” militare. Dovreste aver intuito che la guerra alla guerra si fa tutti assieme, uniti attorno ai principi fondamentali della nostra costituzione e della Dichiarazione Universale, rafforzando quei governi che rifiutano di essere subalterni alle lobby delle armi e dell’economia. Se vi dovesse cogliere lo sconforto di fronte a questa lotta immane, chiudete gli occhi, non ascoltate le sirene dei prepotenti, pensate all’incredibile avanzamento del benessere e del diritto.
Dovreste essere entusiasti di vivere al giorno d’oggi consapevoli del lento ma inesorabile progresso della forza del diritto contro il diritto della forza.
Nessun tentennamento nella speranza, non perché si è ingenui, ma proprio perché si è realisti e si sa che la forza della verità si impone sempre sulla pretesa verità della forza, anche quando la sopraffazione fa cadere il mondo nel buio. 
Sì, dal Servizio Civile dovreste imparare a rafforzare la speranza e a sentirvi paladini della nonviolenza difronte a quei vostri coetanei che l’hanno perduta.  
Gli ingenui sono coloro che credono di far giustizia con la violenza. Tutta la storia lo dimostra. Una storia che forse avete appena sfiorato perché nessuno ancor oggi insegna a scuola la storia della nonviolenza. Voi, forse, avete intercettato per pochi minuti le vicende di persone che hanno perduto la propria vita in nome della vita degli altri e non della morte degli altri. Sono questi campioni, dotati di una coscienza planetaria, che hanno eliminato la schiavitù, imposto l’uguaglianza di fronte alla legge, abolito i privilegi delle caste e dei titoli nobiliari, proibito la violenza sulle donne, sui bambini, sui disabili e cancellato perfino quelle abitudini assurde come il duello e le leggi a tutela dei maschi, dei colonizzatori, dei ricchi, dei bianchi, degli ecclesiastici e delle tradizioni ingiuste o assurde (come l’impurità femminile dopo il parto, l’infibulazione o la clitoridectomia).
E alla fine avreste dovuto apprendere la lezione tremenda della storia: nessuna conquista è definitiva. I diritti vanno conquistati ogni giorno, la democrazia va difesa in ogni istante, l’uguaglianza è posta a rischio ad ogni nuova elezione o relazione, ad ogni nuovo contatto, perciò si deve rimanere sempre in allarme, sempre attenti come sentinelle a non cadere nelle comodità del benessere privato a danno di quello pubblico. 
Insomma avremmo fatto nostra la lezione di Giacomo Ulivi, di Willy Graf, di Franz Jagerstatter, e di tutti coloro che da allora ad oggi, come Aung San Suu Kyi per fare un solo nome, hanno reagito con la dolcezza alla durezza, con la perseveranza allo sconforto, con la coscienza personale all’incoscienza pubblica, con l’impegno individuale all’indifferenza diffusa.
Avete capito che questi successi straordinari sono fragili e che la strada della giustizia e della fratellanza universale è lunga e in ripida salita, ma non potete prendervela comoda, altrimenti contribuirete ad allungare all’infinito questa carreggiata sconnessa che ammucchia rifiuti umani ai suoi lati e sfiora da anni il baratro di un conflitto nucleare.
Chi sta dalla parte della nonviolenza e vive l’oppressione degli altri come fosse propria ha in cuore un’urgenza incontenibile. Durante il Servizio Civile dovreste aver fatto vostra questa fretta di realizzare la giustizia, di eliminare le armi, subito, adesso; di rinunciare ora all’uso delle armi per difesa personale e di spezzare il vostro fucile immediatamente, senza esitazione e di accettarne le conseguenze. Esse saranno tanto più gravi e pesanti quanti meno saremo ad incamminarci lungo quest’erta. Dovreste aver compreso che quella salita non è una montagna, ma un ostacolo innaturale costruito dall’uomo, un piano inclinato sostenuto dall’omertà e dalla paura. Maggiore sarà il numero di coloro che si incamminano lungo quella salita scivolosa e più si abbasserà la pendenza e poi, d’un tratto, come nella caduta del muro di Berlino o nell’India decolonizzata, ci si troverà a scivolare tutti dalla parte opposta in un valanga di felicità sconfinata dove tutti si abbracciano pur senza conoscersi. 
E non sarà l’euforia di un solo giorno, ma uno stile condiviso, la posizione eretta di cui parlava Adler, la tendenza ad agire per il bene comune che, alla fine, sarà diventata automatica come il respiro.

Sandro Gozzo

Obiettore di coscienza

giovedì 11 dicembre 2014

Antonio, un anno fuori dal comune!

Un anno fuori dal comune!

La mia avventura come volontario di Servizio Civile è iniziata a Maggio 2012, quando, superati un po’ di intoppi ben noti a chi come me ha prestato servizio quell’anno, ho cominciato la mia attività presso il Museo di Storia Naturale di Venezia...

Ciò che mi ha avvicinato a questa nuova realtà è stato sicuramente l’interesse per il progetto a cui ho aderito, che si presentava come una ghiotta occasione per poter crescere nella mia professionalità di biologo.
Avrei impiegato gran parte del mio orario di servizio contribuendo alla manutenzione e alla cura degli ospiti di un acquario marino che riproduceva un particolare contesto dell’Adriatico settentrionale: wow!
La mia permanenza in Museo, durante la quale ho collaborato con un magnifico staff giovane e dinamico, mi ha permesso di conoscere e di adoperarmi anche in altri ambiti, quali le collezioni scientifiche, le attività didattiche e altri aspetti particolari della vita di una struttura museale.
Ma il Servizio Civile per me non è stato solo questo, è stata una scommessa fatta e vinta per tutto quello che mi ha lasciato sotto il punto di vista “umano”.
Un lungo ed intenso periodo di formazione mi ha condotto verso nuove conoscenze, magari distanti dal mio percorso formativo ma per forza di cosa vicine al sentire comune che ognuno dovrebbe avere.
Il mio Servizio Civile è stato anche costruire una rete di contatti, in primis con il mio mitico “compagno di Museo” Edoardo e poi con altri volontari (il leggendario gruppo S. Secondo!), concretizzata in diverse occasioni, e approdata ad Aprile 2013 nel progetto di intervento civico organizzato presso Forte Carpenedo: spronati da Michele, Andrea e Paolo siamo riusciti a costruire una giornata in cui abbiamo condiviso, ciascuno per le proprie competenze ed interessi, la volontà di rendere un servizio alla cittadinanza, di fornire un contributo alla società in cui viviamo.
Servizio Civile è tutto questo, è un’esperienza all-around che ripeterei al 100% e che mi sento di consigliare a chiunque abbia voglia di dedicare un periodo della propria vita a un qualcosa di diverso, che assume per ciascuno una sfumatura diversa.


Buon Servizio Civile,

Antonio 

martedì 9 dicembre 2014

SANDRO GOZZO

Una volta scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio?

Sandro Gozzo


Partiamo dall’inizio, come mai ha scelto di non fare la leva militare?
Lavoravo come insegnante elementare già dall’età di 19 anni e frequentavo l’università, così ho potuto rinviare il servizio militare (che allora ti arruolava a 18 anni se non studiavi) e ciò mi ha permesso di riflettere per ben 6 anni e di fare una scelta ponderata, idealmente motivata, senza cercare espedienti per evitare il problema, per “imboscarmi” come si diceva allora. A dir la verità, nell’adolescenza pensavo di fare il carabiniere perché mi sentivo attirato dall’impegno nell’arginare la violenza e l’ingiustizia, ma poi. Nel 1976 ho deciso di approfittare della legge 772 del 1972 e di fare il servizio civile alternativo.
Furono soprattutto le letture di diversi autori del mondo cattolico e cristiano che mi convinsero a rifiutare l’esercito sulla base di una forte motivazione “religiosa".
Compresi le cause delle ingiustizie e delle violenze nel mondo e meditai a lungo sui pericoli che ancor oggi ci sovrastano, gli enormi progressi del diritto, della medicina e delle altre scienze, della tecnica, delle arti, della politica, della letteratura, delle scienze umane e dell’educazione, progressi che portano alla crescita del benessere per tutti e alla diminuzione della violenza (v. Steven Pinker, “Il declino della violenza”, Mondadori 2013).
Compresi d’essere responsabile di tutto: il potere è la sottomissione è l’assenso all’ubbidienza (Vladimir Bukosky, “Il vento va e poi ritorna” Feltrinelli 1978) e imparai ad essere obbediente ai principi e disobbediente verso le leggi, le strutture o i governanti che li trasgrediscono o li contraddicono.
Scelsi, grazie alla convenzione nazionale della Caritas, di svolgere il servizio in Calabria, in una comunità della “Piccola opera Papa Giovanni” con la quale ancor oggi ho contatti frequenti e progetti in comune.

Se tornassi indietro lo rifaresti o sceglieresti un’altra strada?
In ossequio provocatorio ad un vecchio detto del diritto militare “semel miles, semper miles”, (una volta soldato si è soldati per sempre) applicato agli obiettori di coscienza direi così: semel obiciens, semper obiciens! E oggi si potrebbe dire: una volta che hai scelto la solidarietà devi essere per sempre una persona solidale. Una volta scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio? Anche se pare assurdo, si può tornare indietro da ogni scelta. Sono molti gli amici che hanno fatto il militare i quali affermano che non lo rifarebbero, mentre ho conosciuto solo un amico che ha abbandonato la nonviolenza per darsi alla clandestinità e diventare un terrorista. Qualche volta sarei tentato anch’io di diventare violento con i violenti e i padroni del mondo ben sapendo che cosa diceva la bibbia già 200 anni prima di Cristo sull’indissolubile vincolo tra pace e giustizia, tra mezzi e fini.
Più frequentemente sarei tentato di farmi assorbire nella comoda mediocrità dove l’indifferenza regna sovrana, dove la responsabilità per i mali del mondo è sempre degli altri o del destino, ma spero che siano i giovani ad essere più radicali di me nella scelta della pace, della nonviolenza, della fratellanza universale e di rinfacciarmi quello che ho scritto e che ho fatto se dovessi rimangiarmi le scelte giuste, cioè quelle sulla strada del bene e della speranza. I cinici, gli egoisti e i disperati non hanno mai cambiato il mondo in meglio e rappresentano la zavorra che sta affossando la storia umana.

Ti senti un difensore della Patria?
Come scrissi nella mia dichiarazione di autoriduzione “Ho scelto il servizio civile perché ritengo che le vere guerre da combattere siano quelle contro l’ingiustizia che si manifesta in sfruttamento, in emarginazione, in dipendenza culturale o in mille altre forme di violenza evidente od occulta. Condividere queste situazioni e lottare per liberarsi rappresenta l’autentica difesa della patria, un dovere sacro che ogni cittadino dovrebbe rispettare per camminare verso l’internazionalismo e la pace senza barriere e corazze inutili”.
Il concetto di Patria è tutto da rivedere. Piuttosto appartengo ad una nazione, cioè ad un luogo in cui sono nato, ma la mia paternità ideale è il mondo: siamo tutti cittadini del mondo. Piuttosto riconoscerei l’Europa come la mia patria e “màtria” attuale, scusate il gioco di parole, ma è per evidenziare un concetto di figliolanza culturale che dipende ormai da una cultura “cosmopolita” e da una “coscienza planetaria”. Non so se per voi queste parole abbiano il senso profondo che io attribuisco a loro, ma non ne ho altre di migliori per esprimere quella verità pericolosa del termine che Dürrenmatt condensava nella frase “quando lo stato si prepara ad uccidere si fa chiamare Patria”.

Come mai la scelta dell’ autoriduzione del servizio civile?
Il servizio Civile durava allora 8 mesi in più del servizio militare e l’obiettore era un dipendente dell’esercito. La legge 772 del 1972 era stata definita dagli obiettori come una legge truffa, ma a parte i pochi giovani anarchici che rifiutavano anche il servizio civile e i molti testimoni di Geova, nessuno aveva inventato una protesta nonviolenta che fosse davvero efficace, mettendosi contro la legge e rischiando il carcere pur rispettando la legge, cioè svolgendo il Servizio Civile solo per un anno come quello militare.
Organizzai l’autoriduzione come protesta contro la militarizzazione del servizio civile e la punitività della legge.
Questa protesta coinvolse una ventina di giovani nella decina di anni in cui durò, ma non fu condivisa pienamente dal Movimento Nonviolento, né dalla LOC, bensì soltanto da Radicali e anarchici, e da alcuni gruppi sensibili dell’ambito cattolico. Per tale motivo la protesta invece di pochi mesi, durò molti anni. Eravamo troppo pochi a sfidare le istituzioni e ad accettare il rischio della punizione del carcere dove, comunque, solo io tra gli autoriduttori fui rinchiuso per 5 mesi, infatti furono subito riconosciute le eccezioni di incostituzionalità al secondo processo di Silverio Capuzzo e nessun altro autoriduttore stette in carcere per più di una settimana. Le due eccezioni riguardavano la giurisdizione, cioè il fatto che noi non volevamo dipendere dalla stessa autorità che rifiutavamo, e la durata del servizio che avrebbe dovuto essere identica a quello militare..
Fui il primo ad iniziare in Italia questa protesta assieme a Silverio Capuzzo di Lova e a tutti gli autoriduttori che continuarono poi la battaglia fino alla vittoria di alcuni anni dopo, quando la Corte Costituzionale ci diede ragione e smilitarizzò prima il servizio e poi lo equiparò per durata a quello militare. Dopo il pronunciamento dell’alta Corte provai un senso di grande soddisfazione nel sentire i giudici che sostenevano con forza le stesse tesi per le quali altri loro colleghi mi avevano imprigionato. È con orgoglio che posso dire di aver individuato con i miei amici la lotta nonviolenta che ha portato all’istituzione del nuovo Servizio Civile nella forma in cui oggi si svolge. Proprio così lo desideravamo!

Sapevi che saresti finito in carcere ? La tua famiglia ti appoggiava?
La mia famiglia mi ha sempre sostenuto. Mio padre venne anche al processo di Palermo. Fu molto triste quando incrociò il mio sguardo mentre uscivo dal cellulare (così si chiamava il pulmino dei detenuti) e vide che ai polsi avevo due enormi manette e una lunga catena tenuta da un carabiniere. Non dimenticherò mai quello sguardo turbato e quella silenziosa presenza. Lo salutai e lui non disse nulla, ma sapevo che era orgoglioso della scelta di suo figlio e con lui anche mia madre, mia sorella e gli altri quattro fratelli maschi che pure avevano fatto il servizio militare prima di me.

Sì, sapevo di finire in carcere, ma contavo sulla sollevazione di tutti gli altri obiettori. Un po’ come i giovani antinazisti tedeschi della Rosa Bianca… ma essi pagarono con la vita la pusillanimità dei coetanei. Ci furono diverse manifestazioni, petizioni e altri proteste, ma i 40 obiettori che a Bologna con Silverio Capuzzo avevamo riunito due mesi prima da tutta Italia e che sembravano decisi a fare l’autoriduzione per riempire le carceri secondo un “protocollo” tipico delle azioni nonviolente di Gandhi e King, una volta che mi videro in galera, si ritirarono da quel tipo di lotta. Solo Silverio Capuzzo continuò e dopo il suo processo nessuno finì più imprigionato perché fu rinviata la questione alla Corte Costituzionale. Tuttavia la protesta non venne sostenuta degli stessi nonviolenti e tale rigidità mentale allungò i tempi a dismisura e divise il movimento già allora frammentato. Solo il MIR di Padova sostenne costantemente e con forza, la protesta degli autoriduttori più della Loc e del Movimento Nonviolento a cui non dispiacevano i mesi in più (per “selezionare” i “migliori”, i più convinti) e fu grazie a quel sostegno controcorrente che la Corte Costituzionale arrivò ad obbligare il parlamento a rivedere la legge. Quanti anni furono sprecati per la divisione interna ai pacifisti e quanti giovani, soprattutto le donne, dovettero rinunciare al Servizio dal 1979 al 2002 quando finalmente dopo 22 anni entrò in vigore la legge 6 marzo 2001 n° 64 e poi fino al 1° gennaio 2005, quando il Sevizio diventò volontario!

Questa scelta come ha influito nella tua vita, nel rapportarti con le ingiustizie e istituzioni?
Vorrei spendere due parole sul periodo di reclusione, perché finora nessuno mi ha chiamato mai a parlarne specificatamente. Il carcere militare è quasi uguale nella struttura a quello civile, ma molto diverso è il clima interno per la presenza di coetanei giovani, per la specificità dei reati, per il frequente avvicendamento e quindi per l’assenza del nonnismo.
Il carcere è un sistema necessario per frenare gli eccessi della trasgressione alle leggi fondamentali della convivenza, ma il modo in cui la reclusione viene realizzata, salvo oasi felici, va modificato nell’ottica della legge Gozzini, la più avanzata del mondo.
La punizione peggiore consiste nella privazione della libertà che è il bene supremo. Allo stesso tempo ti accorgi che la libertà è essenzialmente mentale e ancor più interiore, spirituale. Questa consapevolezza ti rinforza invece di indebolirti, ti sostiene, ti rende orgoglioso e progressivamente coraggioso. Anche il coraggio si impara, come l’orgoglio per la difesa dei valori e la disciplina dell’attesa. Tutto si impara. E spesso nel carcere si impara a diventare cattivi perché si è “captivus”, cioè preso e collocato in un luogo dai “ristretti orizzonti”, come gli animali in gabbia.
Non auguro il carcere a nessuno, ma un periodo di auto-reclusione (magari in un convento a meditare) lo consiglierei a tutti per comprendere che esiste un mondo nascosto, parallelo, assurdo… e per tanti altri motivi: per imparare la lezione del silenzio e della riflessione; per ridare valore alla parola e contrastare la confusione; per un apprendistato che abitui alla gestione sobria e comunitaria e per disabituarci alla babele dell’individualismo e del liberismo sfrenato; per una comprensione profonda dell’amicizia possibile con ogni essere umano; per tessere relazioni anche con i nemici, i diversi, i lontani; per capire la povertà dei poveri, la carenza di cultura, del possesso della lingua e il grave pericolo dell’ignoranza e della stupidità umana, molto più dannoso della malvagità stessa.
In carcere, poi, sono stato “adottato” come prigioniero per reati di opinione da Amnesty International. Tutti dovremmo iscriverci e versare ad AI una “decima” in qualsiasi gruppo o associazione in cui siamo impegnati! Il lavoro di Amnesty è unico! Nel 1979 ci furono le prime elezioni europee e questa associazione aveva denunciato la presenza di persone perseguitate per motivi di opinione in Italia. Le elezioni europee non dovevano trovare uno stato italiano in difetto rispetto a quei diritti umani la cui difesa, da Beccaria a Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, ci aveva reso degli antesignani esemplari e questo fu forse un motivo che mi fece scarcerare poco prima di quelle elezioni con 2 mesi di anticipo sulla pena di 7 mesi.

Cosa porti dentro di quel periodo?
È stato un periodo “mitico”. Ho conosciuto in un solo anno tanti mondi differenti. Per primi ho conosciuto “i meridionali” e da allora mi sento un calabrese di adozione. Mi sono innamorato di quella terra straordinaria e ho capito che tutto il mondo è paese. Ho assistito al primo nucleo di giovani che, aggregati da un prete straordinario come don Italo Calabrò, hanno rifiutato di migrare al nord cercando di ricostruire in terra di ‘ndrangheta focolai di giustizia sociale, di rispetto e di rifiuto delle logiche violente. Ho dormito per 12 mesi in un prefabbricato della Caritas che agli occhi della gente era un mini-manicomio, ma in realtà lì si realizzava, attraverso l’ergoterapia, l’alternativa agli ospedali psichiatrici di cui Basaglia era allora l’anticipatore. Sono entrato nella malattia mentale e da lì ho iniziato a non aver paura del diverso e di temere piuttosto le istituzioni totali: questo è il seme che ha dato inizio all’associazione “Il Portico”, nato a Dolo pochi anni dopo con tanti altri amici che ancor oggi condividono quelle idee (da Melito Porto Salvo, dove ho svolto il Servizio Civile, sono venuti a trascorrere le vacanze con noi anche quest’anno 12 persone, 9 delle quali con disabilità mentale. Dopo quasi 40 anni il contatto che ho aperto con gli amici di Reggio Calabria è ancora attivo! Non è incredibile? Spero che a tutti i giovani venga la voglia di prolungare nel tempo i contatti unici e preziosi che si intrecciano durante il Servizio Civile!)
Ho conosciuto la solidarietà di tanti amici che hanno sostenuto la mia scelta radicale anche nella lotta politica nonviolenta contro uno stato che ancor oggi è ciecamente militarista e che non trova opposizione significativa nemmeno nella Chiesa (è il caso di dire, a proposito di papa Francesco, che “un papa non fa primavera” se tutte le altre rondini non arrivano negli stessi cieli).
Studiando la pedagogia ho capito che noi impariamo tutto. La risposta violenta è un fatto culturale ed è essenzialmente politico. Solo l’educazione toglie l’essere umano dallo stato di ferinità, e ci stiamo riuscendo. Alfred Adler scriveva che “La tendenza ad agire per il bene comune è piuttosto debole nell’attuale stadio dello sviluppo dell’evoluzione, ma alla fine dovrà diventare automatica come il respiro o il cammino in posizione eretta. La soluzione dei problemi della società porterà alla soluzione dei nostri stessi problemi, quindi ogni uomo è coinvolto nella soluzione dei problemi della società in funzione del grado al quale è stato risvegliato o appreso il suo interesse sociale
Il motto che l’associazione “Il Portico” ha fatto proprio è questo: “Non dobbiamo essere in pochi a fare tanto, ma in tanti a fare un poco ciascuno”… dobbiamo sempre coinvolgere le persone che ci stanno attorno. Con discrezione, ma con fermezza. È più facile fare le cose individualmente che appassionare gli altri e farle assieme. « Da solo, cammino più veloce, insieme, camminiamo più lontano” (proverbio africano).

Cosa ti senti di dire a giovani del servizio civile e alle nuove generazioni che vengono a contatto con questa realtà?
Direi le stesse parole di Piero Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano: “Vi prego di guardare bene. Chi vi parla non è chi apparentemente vi sta di fronte, ma un giovane di non più di vent’anni, quel giovane che quasi mezzo secolo fa faceva obiezione di coscienza. Semplicemente come tale egli vi parla, come se fosse allora, ed i decenni trascorsi ad oggi tra le mille discussioni in cui si è venuto a trovare, farcite di tematiche e problematiche e analisi e teorie e modelli d’ogni genere in materia di pace e di guerra, non abbiano spostato in nulla quella sua originaria persuasione; e semmai siano serviti, quegli anni e discussioni, a renderlo sempre più convinto che quei miliardi di parole nella loro pretesa razionalità, scientificità e realismo a null’altro approdino che ai risaputi falsi sillogismi “che fanno in basso batter l’ali”; e alla resa dei conti, a condurre quel basso volo a sfracellarsi nel baratro della guerra. Sempre più persuaso che, se non vogliamo arrivare a quel tragico epilogo, prima che in quella voragine mortale ci si trovi in un silenzio ghiacciato dove ogni voce suona ormai assurda, pietrificata, vacua, non vi sia che da pronunciare una sola parola: no alla guerra, ad ogni guerra, fatta da chiunque, per qualsiasi ragione”.[ Pietro Pinna “La mia obbiezione di coscienza”, Edizioni del Movimento Nonviolento, 1994, Appendice 3]
Parole e concetti analoghi si trovano anche nel libro di Alberto Trevisan “Ho spezzato il mio fucile”, ma so che avete intervistato precedentemente questo mio amico e maestro.