martedì 9 dicembre 2014

SANDRO GOZZO

Una volta scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio?

Sandro Gozzo


Partiamo dall’inizio, come mai ha scelto di non fare la leva militare?
Lavoravo come insegnante elementare già dall’età di 19 anni e frequentavo l’università, così ho potuto rinviare il servizio militare (che allora ti arruolava a 18 anni se non studiavi) e ciò mi ha permesso di riflettere per ben 6 anni e di fare una scelta ponderata, idealmente motivata, senza cercare espedienti per evitare il problema, per “imboscarmi” come si diceva allora. A dir la verità, nell’adolescenza pensavo di fare il carabiniere perché mi sentivo attirato dall’impegno nell’arginare la violenza e l’ingiustizia, ma poi. Nel 1976 ho deciso di approfittare della legge 772 del 1972 e di fare il servizio civile alternativo.
Furono soprattutto le letture di diversi autori del mondo cattolico e cristiano che mi convinsero a rifiutare l’esercito sulla base di una forte motivazione “religiosa".
Compresi le cause delle ingiustizie e delle violenze nel mondo e meditai a lungo sui pericoli che ancor oggi ci sovrastano, gli enormi progressi del diritto, della medicina e delle altre scienze, della tecnica, delle arti, della politica, della letteratura, delle scienze umane e dell’educazione, progressi che portano alla crescita del benessere per tutti e alla diminuzione della violenza (v. Steven Pinker, “Il declino della violenza”, Mondadori 2013).
Compresi d’essere responsabile di tutto: il potere è la sottomissione è l’assenso all’ubbidienza (Vladimir Bukosky, “Il vento va e poi ritorna” Feltrinelli 1978) e imparai ad essere obbediente ai principi e disobbediente verso le leggi, le strutture o i governanti che li trasgrediscono o li contraddicono.
Scelsi, grazie alla convenzione nazionale della Caritas, di svolgere il servizio in Calabria, in una comunità della “Piccola opera Papa Giovanni” con la quale ancor oggi ho contatti frequenti e progetti in comune.

Se tornassi indietro lo rifaresti o sceglieresti un’altra strada?
In ossequio provocatorio ad un vecchio detto del diritto militare “semel miles, semper miles”, (una volta soldato si è soldati per sempre) applicato agli obiettori di coscienza direi così: semel obiciens, semper obiciens! E oggi si potrebbe dire: una volta che hai scelto la solidarietà devi essere per sempre una persona solidale. Una volta scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio? Anche se pare assurdo, si può tornare indietro da ogni scelta. Sono molti gli amici che hanno fatto il militare i quali affermano che non lo rifarebbero, mentre ho conosciuto solo un amico che ha abbandonato la nonviolenza per darsi alla clandestinità e diventare un terrorista. Qualche volta sarei tentato anch’io di diventare violento con i violenti e i padroni del mondo ben sapendo che cosa diceva la bibbia già 200 anni prima di Cristo sull’indissolubile vincolo tra pace e giustizia, tra mezzi e fini.
Più frequentemente sarei tentato di farmi assorbire nella comoda mediocrità dove l’indifferenza regna sovrana, dove la responsabilità per i mali del mondo è sempre degli altri o del destino, ma spero che siano i giovani ad essere più radicali di me nella scelta della pace, della nonviolenza, della fratellanza universale e di rinfacciarmi quello che ho scritto e che ho fatto se dovessi rimangiarmi le scelte giuste, cioè quelle sulla strada del bene e della speranza. I cinici, gli egoisti e i disperati non hanno mai cambiato il mondo in meglio e rappresentano la zavorra che sta affossando la storia umana.

Ti senti un difensore della Patria?
Come scrissi nella mia dichiarazione di autoriduzione “Ho scelto il servizio civile perché ritengo che le vere guerre da combattere siano quelle contro l’ingiustizia che si manifesta in sfruttamento, in emarginazione, in dipendenza culturale o in mille altre forme di violenza evidente od occulta. Condividere queste situazioni e lottare per liberarsi rappresenta l’autentica difesa della patria, un dovere sacro che ogni cittadino dovrebbe rispettare per camminare verso l’internazionalismo e la pace senza barriere e corazze inutili”.
Il concetto di Patria è tutto da rivedere. Piuttosto appartengo ad una nazione, cioè ad un luogo in cui sono nato, ma la mia paternità ideale è il mondo: siamo tutti cittadini del mondo. Piuttosto riconoscerei l’Europa come la mia patria e “màtria” attuale, scusate il gioco di parole, ma è per evidenziare un concetto di figliolanza culturale che dipende ormai da una cultura “cosmopolita” e da una “coscienza planetaria”. Non so se per voi queste parole abbiano il senso profondo che io attribuisco a loro, ma non ne ho altre di migliori per esprimere quella verità pericolosa del termine che Dürrenmatt condensava nella frase “quando lo stato si prepara ad uccidere si fa chiamare Patria”.

Come mai la scelta dell’ autoriduzione del servizio civile?
Il servizio Civile durava allora 8 mesi in più del servizio militare e l’obiettore era un dipendente dell’esercito. La legge 772 del 1972 era stata definita dagli obiettori come una legge truffa, ma a parte i pochi giovani anarchici che rifiutavano anche il servizio civile e i molti testimoni di Geova, nessuno aveva inventato una protesta nonviolenta che fosse davvero efficace, mettendosi contro la legge e rischiando il carcere pur rispettando la legge, cioè svolgendo il Servizio Civile solo per un anno come quello militare.
Organizzai l’autoriduzione come protesta contro la militarizzazione del servizio civile e la punitività della legge.
Questa protesta coinvolse una ventina di giovani nella decina di anni in cui durò, ma non fu condivisa pienamente dal Movimento Nonviolento, né dalla LOC, bensì soltanto da Radicali e anarchici, e da alcuni gruppi sensibili dell’ambito cattolico. Per tale motivo la protesta invece di pochi mesi, durò molti anni. Eravamo troppo pochi a sfidare le istituzioni e ad accettare il rischio della punizione del carcere dove, comunque, solo io tra gli autoriduttori fui rinchiuso per 5 mesi, infatti furono subito riconosciute le eccezioni di incostituzionalità al secondo processo di Silverio Capuzzo e nessun altro autoriduttore stette in carcere per più di una settimana. Le due eccezioni riguardavano la giurisdizione, cioè il fatto che noi non volevamo dipendere dalla stessa autorità che rifiutavamo, e la durata del servizio che avrebbe dovuto essere identica a quello militare..
Fui il primo ad iniziare in Italia questa protesta assieme a Silverio Capuzzo di Lova e a tutti gli autoriduttori che continuarono poi la battaglia fino alla vittoria di alcuni anni dopo, quando la Corte Costituzionale ci diede ragione e smilitarizzò prima il servizio e poi lo equiparò per durata a quello militare. Dopo il pronunciamento dell’alta Corte provai un senso di grande soddisfazione nel sentire i giudici che sostenevano con forza le stesse tesi per le quali altri loro colleghi mi avevano imprigionato. È con orgoglio che posso dire di aver individuato con i miei amici la lotta nonviolenta che ha portato all’istituzione del nuovo Servizio Civile nella forma in cui oggi si svolge. Proprio così lo desideravamo!

Sapevi che saresti finito in carcere ? La tua famiglia ti appoggiava?
La mia famiglia mi ha sempre sostenuto. Mio padre venne anche al processo di Palermo. Fu molto triste quando incrociò il mio sguardo mentre uscivo dal cellulare (così si chiamava il pulmino dei detenuti) e vide che ai polsi avevo due enormi manette e una lunga catena tenuta da un carabiniere. Non dimenticherò mai quello sguardo turbato e quella silenziosa presenza. Lo salutai e lui non disse nulla, ma sapevo che era orgoglioso della scelta di suo figlio e con lui anche mia madre, mia sorella e gli altri quattro fratelli maschi che pure avevano fatto il servizio militare prima di me.

Sì, sapevo di finire in carcere, ma contavo sulla sollevazione di tutti gli altri obiettori. Un po’ come i giovani antinazisti tedeschi della Rosa Bianca… ma essi pagarono con la vita la pusillanimità dei coetanei. Ci furono diverse manifestazioni, petizioni e altri proteste, ma i 40 obiettori che a Bologna con Silverio Capuzzo avevamo riunito due mesi prima da tutta Italia e che sembravano decisi a fare l’autoriduzione per riempire le carceri secondo un “protocollo” tipico delle azioni nonviolente di Gandhi e King, una volta che mi videro in galera, si ritirarono da quel tipo di lotta. Solo Silverio Capuzzo continuò e dopo il suo processo nessuno finì più imprigionato perché fu rinviata la questione alla Corte Costituzionale. Tuttavia la protesta non venne sostenuta degli stessi nonviolenti e tale rigidità mentale allungò i tempi a dismisura e divise il movimento già allora frammentato. Solo il MIR di Padova sostenne costantemente e con forza, la protesta degli autoriduttori più della Loc e del Movimento Nonviolento a cui non dispiacevano i mesi in più (per “selezionare” i “migliori”, i più convinti) e fu grazie a quel sostegno controcorrente che la Corte Costituzionale arrivò ad obbligare il parlamento a rivedere la legge. Quanti anni furono sprecati per la divisione interna ai pacifisti e quanti giovani, soprattutto le donne, dovettero rinunciare al Servizio dal 1979 al 2002 quando finalmente dopo 22 anni entrò in vigore la legge 6 marzo 2001 n° 64 e poi fino al 1° gennaio 2005, quando il Sevizio diventò volontario!

Questa scelta come ha influito nella tua vita, nel rapportarti con le ingiustizie e istituzioni?
Vorrei spendere due parole sul periodo di reclusione, perché finora nessuno mi ha chiamato mai a parlarne specificatamente. Il carcere militare è quasi uguale nella struttura a quello civile, ma molto diverso è il clima interno per la presenza di coetanei giovani, per la specificità dei reati, per il frequente avvicendamento e quindi per l’assenza del nonnismo.
Il carcere è un sistema necessario per frenare gli eccessi della trasgressione alle leggi fondamentali della convivenza, ma il modo in cui la reclusione viene realizzata, salvo oasi felici, va modificato nell’ottica della legge Gozzini, la più avanzata del mondo.
La punizione peggiore consiste nella privazione della libertà che è il bene supremo. Allo stesso tempo ti accorgi che la libertà è essenzialmente mentale e ancor più interiore, spirituale. Questa consapevolezza ti rinforza invece di indebolirti, ti sostiene, ti rende orgoglioso e progressivamente coraggioso. Anche il coraggio si impara, come l’orgoglio per la difesa dei valori e la disciplina dell’attesa. Tutto si impara. E spesso nel carcere si impara a diventare cattivi perché si è “captivus”, cioè preso e collocato in un luogo dai “ristretti orizzonti”, come gli animali in gabbia.
Non auguro il carcere a nessuno, ma un periodo di auto-reclusione (magari in un convento a meditare) lo consiglierei a tutti per comprendere che esiste un mondo nascosto, parallelo, assurdo… e per tanti altri motivi: per imparare la lezione del silenzio e della riflessione; per ridare valore alla parola e contrastare la confusione; per un apprendistato che abitui alla gestione sobria e comunitaria e per disabituarci alla babele dell’individualismo e del liberismo sfrenato; per una comprensione profonda dell’amicizia possibile con ogni essere umano; per tessere relazioni anche con i nemici, i diversi, i lontani; per capire la povertà dei poveri, la carenza di cultura, del possesso della lingua e il grave pericolo dell’ignoranza e della stupidità umana, molto più dannoso della malvagità stessa.
In carcere, poi, sono stato “adottato” come prigioniero per reati di opinione da Amnesty International. Tutti dovremmo iscriverci e versare ad AI una “decima” in qualsiasi gruppo o associazione in cui siamo impegnati! Il lavoro di Amnesty è unico! Nel 1979 ci furono le prime elezioni europee e questa associazione aveva denunciato la presenza di persone perseguitate per motivi di opinione in Italia. Le elezioni europee non dovevano trovare uno stato italiano in difetto rispetto a quei diritti umani la cui difesa, da Beccaria a Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, ci aveva reso degli antesignani esemplari e questo fu forse un motivo che mi fece scarcerare poco prima di quelle elezioni con 2 mesi di anticipo sulla pena di 7 mesi.

Cosa porti dentro di quel periodo?
È stato un periodo “mitico”. Ho conosciuto in un solo anno tanti mondi differenti. Per primi ho conosciuto “i meridionali” e da allora mi sento un calabrese di adozione. Mi sono innamorato di quella terra straordinaria e ho capito che tutto il mondo è paese. Ho assistito al primo nucleo di giovani che, aggregati da un prete straordinario come don Italo Calabrò, hanno rifiutato di migrare al nord cercando di ricostruire in terra di ‘ndrangheta focolai di giustizia sociale, di rispetto e di rifiuto delle logiche violente. Ho dormito per 12 mesi in un prefabbricato della Caritas che agli occhi della gente era un mini-manicomio, ma in realtà lì si realizzava, attraverso l’ergoterapia, l’alternativa agli ospedali psichiatrici di cui Basaglia era allora l’anticipatore. Sono entrato nella malattia mentale e da lì ho iniziato a non aver paura del diverso e di temere piuttosto le istituzioni totali: questo è il seme che ha dato inizio all’associazione “Il Portico”, nato a Dolo pochi anni dopo con tanti altri amici che ancor oggi condividono quelle idee (da Melito Porto Salvo, dove ho svolto il Servizio Civile, sono venuti a trascorrere le vacanze con noi anche quest’anno 12 persone, 9 delle quali con disabilità mentale. Dopo quasi 40 anni il contatto che ho aperto con gli amici di Reggio Calabria è ancora attivo! Non è incredibile? Spero che a tutti i giovani venga la voglia di prolungare nel tempo i contatti unici e preziosi che si intrecciano durante il Servizio Civile!)
Ho conosciuto la solidarietà di tanti amici che hanno sostenuto la mia scelta radicale anche nella lotta politica nonviolenta contro uno stato che ancor oggi è ciecamente militarista e che non trova opposizione significativa nemmeno nella Chiesa (è il caso di dire, a proposito di papa Francesco, che “un papa non fa primavera” se tutte le altre rondini non arrivano negli stessi cieli).
Studiando la pedagogia ho capito che noi impariamo tutto. La risposta violenta è un fatto culturale ed è essenzialmente politico. Solo l’educazione toglie l’essere umano dallo stato di ferinità, e ci stiamo riuscendo. Alfred Adler scriveva che “La tendenza ad agire per il bene comune è piuttosto debole nell’attuale stadio dello sviluppo dell’evoluzione, ma alla fine dovrà diventare automatica come il respiro o il cammino in posizione eretta. La soluzione dei problemi della società porterà alla soluzione dei nostri stessi problemi, quindi ogni uomo è coinvolto nella soluzione dei problemi della società in funzione del grado al quale è stato risvegliato o appreso il suo interesse sociale
Il motto che l’associazione “Il Portico” ha fatto proprio è questo: “Non dobbiamo essere in pochi a fare tanto, ma in tanti a fare un poco ciascuno”… dobbiamo sempre coinvolgere le persone che ci stanno attorno. Con discrezione, ma con fermezza. È più facile fare le cose individualmente che appassionare gli altri e farle assieme. « Da solo, cammino più veloce, insieme, camminiamo più lontano” (proverbio africano).

Cosa ti senti di dire a giovani del servizio civile e alle nuove generazioni che vengono a contatto con questa realtà?
Direi le stesse parole di Piero Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano: “Vi prego di guardare bene. Chi vi parla non è chi apparentemente vi sta di fronte, ma un giovane di non più di vent’anni, quel giovane che quasi mezzo secolo fa faceva obiezione di coscienza. Semplicemente come tale egli vi parla, come se fosse allora, ed i decenni trascorsi ad oggi tra le mille discussioni in cui si è venuto a trovare, farcite di tematiche e problematiche e analisi e teorie e modelli d’ogni genere in materia di pace e di guerra, non abbiano spostato in nulla quella sua originaria persuasione; e semmai siano serviti, quegli anni e discussioni, a renderlo sempre più convinto che quei miliardi di parole nella loro pretesa razionalità, scientificità e realismo a null’altro approdino che ai risaputi falsi sillogismi “che fanno in basso batter l’ali”; e alla resa dei conti, a condurre quel basso volo a sfracellarsi nel baratro della guerra. Sempre più persuaso che, se non vogliamo arrivare a quel tragico epilogo, prima che in quella voragine mortale ci si trovi in un silenzio ghiacciato dove ogni voce suona ormai assurda, pietrificata, vacua, non vi sia che da pronunciare una sola parola: no alla guerra, ad ogni guerra, fatta da chiunque, per qualsiasi ragione”.[ Pietro Pinna “La mia obbiezione di coscienza”, Edizioni del Movimento Nonviolento, 1994, Appendice 3]
Parole e concetti analoghi si trovano anche nel libro di Alberto Trevisan “Ho spezzato il mio fucile”, ma so che avete intervistato precedentemente questo mio amico e maestro.