Una volta scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio?
Sandro Gozzo
Partiamo dall’inizio,
come mai ha scelto di non fare la leva militare?
Lavoravo come insegnante
elementare già dall’età di 19 anni e frequentavo l’università,
così ho potuto rinviare il servizio militare (che allora ti
arruolava a 18 anni se non studiavi) e ciò mi ha permesso di
riflettere per ben 6 anni e di fare una scelta ponderata, idealmente
motivata, senza cercare espedienti per evitare il problema, per
“imboscarmi” come si diceva allora. A dir la verità,
nell’adolescenza pensavo di fare il carabiniere perché mi sentivo
attirato dall’impegno nell’arginare la violenza e l’ingiustizia,
ma poi. Nel 1976 ho deciso di approfittare della legge 772 del 1972 e
di fare il servizio civile alternativo.
Furono soprattutto le
letture di diversi autori del mondo cattolico e cristiano che mi
convinsero a rifiutare l’esercito sulla base di una forte
motivazione “religiosa".
Compresi le cause delle
ingiustizie e delle violenze nel mondo e meditai a lungo sui pericoli
che ancor oggi ci sovrastano, gli enormi progressi del diritto, della medicina e
delle altre scienze, della tecnica, delle arti, della politica, della
letteratura, delle scienze umane e dell’educazione, progressi che
portano alla crescita del benessere per tutti e alla diminuzione
della violenza (v. Steven Pinker, “Il declino della violenza”,
Mondadori 2013).
Compresi d’essere
responsabile di tutto: il potere è la sottomissione è l’assenso
all’ubbidienza (Vladimir Bukosky, “Il vento va e poi ritorna”
Feltrinelli 1978) e imparai ad essere obbediente ai principi e
disobbediente verso le leggi, le strutture o i governanti che li
trasgrediscono o li contraddicono.
Scelsi, grazie alla
convenzione nazionale della Caritas, di svolgere il servizio in
Calabria, in una comunità della “Piccola opera Papa Giovanni”
con la quale ancor oggi ho contatti frequenti e progetti in comune.
Se tornassi indietro
lo rifaresti o sceglieresti un’altra strada?
In ossequio provocatorio
ad un vecchio detto del diritto militare “semel miles, semper
miles”, (una volta soldato si è soldati per sempre) applicato
agli obiettori di coscienza direi così: semel obiciens, semper
obiciens! E oggi si potrebbe dire: una volta che hai scelto la
solidarietà devi essere per sempre una persona solidale. Una volta
scelta la via dell’Amore si può retrocedere a quella dell’odio?
Anche se pare assurdo, si può tornare indietro da ogni scelta. Sono
molti gli amici che hanno fatto il militare i quali affermano che non
lo rifarebbero, mentre ho conosciuto solo un amico che ha abbandonato
la nonviolenza per darsi alla clandestinità e diventare un
terrorista. Qualche volta sarei tentato anch’io di diventare
violento con i violenti e i padroni del mondo ben sapendo che cosa
diceva la bibbia già 200 anni prima di Cristo sull’indissolubile
vincolo tra pace e giustizia, tra mezzi e fini.
Più frequentemente sarei tentato
di farmi assorbire nella comoda mediocrità dove l’indifferenza
regna sovrana, dove la responsabilità per i mali del mondo è sempre
degli altri o del destino, ma spero che siano i giovani ad essere più
radicali di me nella scelta della pace, della nonviolenza, della
fratellanza universale e di rinfacciarmi quello che ho scritto e che
ho fatto se dovessi rimangiarmi le scelte giuste, cioè quelle sulla
strada del bene e della speranza. I cinici, gli egoisti e i disperati
non hanno mai cambiato il mondo in meglio e rappresentano la zavorra
che sta affossando la storia umana.
Ti senti un difensore
della Patria?
Come scrissi nella mia
dichiarazione di autoriduzione “Ho scelto il servizio civile
perché ritengo che le vere guerre da combattere siano quelle contro
l’ingiustizia che si manifesta in sfruttamento, in emarginazione,
in dipendenza culturale o in mille altre forme di violenza evidente
od occulta. Condividere queste situazioni e lottare per liberarsi
rappresenta l’autentica difesa della patria, un dovere sacro che
ogni cittadino dovrebbe rispettare per camminare verso
l’internazionalismo e la pace senza barriere e corazze inutili”.
Il concetto di Patria è
tutto da rivedere. Piuttosto appartengo ad una nazione, cioè ad un
luogo in cui sono nato, ma la mia
paternità ideale è il mondo: siamo tutti cittadini del mondo.
Piuttosto riconoscerei l’Europa come la mia patria e “màtria”
attuale, scusate il gioco di parole, ma è per evidenziare un
concetto di figliolanza culturale che dipende ormai da una cultura
“cosmopolita” e da una “coscienza planetaria”. Non so se per
voi queste parole abbiano il senso profondo che io attribuisco a
loro, ma non ne ho altre di migliori per esprimere quella verità
pericolosa del termine che Dürrenmatt condensava nella frase “quando
lo stato si prepara ad uccidere si fa chiamare Patria”.
Come mai la scelta
dell’ autoriduzione del servizio civile?
Il servizio Civile durava
allora 8 mesi in più del servizio militare e l’obiettore era un
dipendente dell’esercito. La legge 772 del 1972 era stata definita
dagli obiettori come una legge truffa, ma a parte i pochi giovani
anarchici che rifiutavano anche il servizio civile e i molti
testimoni di Geova, nessuno aveva inventato una protesta nonviolenta
che fosse davvero efficace, mettendosi contro la legge e rischiando
il carcere pur rispettando la legge, cioè svolgendo il Servizio
Civile solo per un anno come quello militare.
Organizzai
l’autoriduzione come protesta contro la militarizzazione del
servizio civile e la punitività della legge.
Questa protesta coinvolse
una ventina di giovani nella decina di anni in cui durò, ma non fu
condivisa pienamente dal Movimento Nonviolento, né dalla LOC, bensì
soltanto da Radicali e anarchici, e da alcuni gruppi sensibili
dell’ambito cattolico. Per tale motivo la protesta invece di pochi
mesi, durò molti anni. Eravamo troppo pochi a sfidare le istituzioni
e ad accettare il rischio della punizione del carcere dove, comunque,
solo io tra gli autoriduttori fui rinchiuso per 5 mesi, infatti
furono subito riconosciute le eccezioni di incostituzionalità al
secondo processo di Silverio Capuzzo e nessun altro autoriduttore
stette in carcere per più di una settimana. Le due eccezioni
riguardavano la giurisdizione, cioè il fatto che noi non volevamo
dipendere dalla stessa autorità che rifiutavamo, e la durata del
servizio che avrebbe dovuto essere identica a quello militare..
Fui il primo ad iniziare
in Italia questa protesta assieme a Silverio Capuzzo di Lova e a
tutti gli autoriduttori che continuarono poi la battaglia fino alla
vittoria di alcuni anni dopo, quando la Corte Costituzionale ci diede
ragione e smilitarizzò prima il servizio e poi lo equiparò per
durata a quello militare. Dopo il pronunciamento dell’alta Corte
provai un senso di grande soddisfazione nel sentire i giudici che
sostenevano con forza le stesse tesi per le quali altri loro colleghi
mi avevano imprigionato. È con orgoglio che posso dire di aver
individuato con i miei amici la lotta nonviolenta che ha portato
all’istituzione del nuovo Servizio Civile nella forma in cui oggi
si svolge. Proprio così lo desideravamo!
Sapevi che saresti
finito in carcere ? La tua famiglia ti appoggiava?
La mia famiglia mi ha
sempre sostenuto. Mio padre venne anche al processo di Palermo. Fu
molto triste quando incrociò il mio sguardo mentre uscivo dal
cellulare (così si chiamava il pulmino dei detenuti) e vide che ai
polsi avevo due enormi manette e una lunga catena tenuta da un
carabiniere. Non dimenticherò mai quello sguardo turbato e quella
silenziosa presenza. Lo salutai e lui non disse nulla, ma sapevo che
era orgoglioso della scelta di suo figlio e con lui anche mia madre,
mia sorella e gli altri quattro fratelli maschi che pure avevano
fatto il servizio militare prima di me.
Sì, sapevo di finire in
carcere, ma contavo sulla sollevazione di tutti gli altri obiettori.
Un po’ come i giovani antinazisti tedeschi della Rosa Bianca… ma
essi pagarono con la vita la pusillanimità dei coetanei. Ci furono
diverse manifestazioni, petizioni e altri proteste, ma i 40 obiettori
che a Bologna con Silverio Capuzzo avevamo riunito due mesi prima da
tutta Italia e che sembravano decisi a fare l’autoriduzione per
riempire le carceri secondo un “protocollo” tipico delle azioni
nonviolente di Gandhi e King, una volta che mi videro in galera, si
ritirarono da quel tipo di lotta. Solo Silverio Capuzzo continuò e
dopo il suo processo nessuno finì più imprigionato perché fu
rinviata la questione alla Corte Costituzionale. Tuttavia la protesta
non venne sostenuta degli stessi nonviolenti e tale rigidità mentale
allungò i tempi a dismisura e divise il movimento già allora
frammentato. Solo il MIR di Padova sostenne costantemente e con
forza, la protesta degli autoriduttori più della Loc e del Movimento
Nonviolento a cui non dispiacevano i mesi in più (per “selezionare”
i “migliori”, i più convinti) e fu grazie a quel sostegno
controcorrente che la Corte Costituzionale arrivò ad obbligare il
parlamento a rivedere la legge. Quanti anni furono sprecati per la
divisione interna ai pacifisti e quanti giovani, soprattutto le
donne, dovettero rinunciare al Servizio dal 1979 al 2002 quando
finalmente dopo 22 anni entrò in vigore la legge 6 marzo 2001 n° 64
e poi fino al 1° gennaio 2005, quando il Sevizio diventò
volontario!
Questa scelta come ha
influito nella tua vita, nel rapportarti con le ingiustizie e
istituzioni?
Vorrei spendere due
parole sul periodo di reclusione, perché finora nessuno mi ha
chiamato mai a parlarne specificatamente. Il carcere militare è
quasi uguale nella struttura a quello civile, ma molto diverso è il
clima interno per la presenza di coetanei giovani, per la specificità
dei reati, per il frequente avvicendamento e quindi per l’assenza
del nonnismo.
Il carcere è un sistema
necessario per frenare gli eccessi della trasgressione alle leggi
fondamentali della convivenza, ma il modo in cui la reclusione viene
realizzata, salvo oasi felici, va modificato nell’ottica della
legge Gozzini, la più avanzata del mondo.
La punizione peggiore
consiste nella privazione della libertà che è il bene supremo. Allo
stesso tempo ti accorgi che la libertà è essenzialmente mentale e
ancor più interiore, spirituale. Questa consapevolezza ti rinforza
invece di indebolirti, ti sostiene, ti rende orgoglioso e
progressivamente coraggioso. Anche il coraggio si impara, come
l’orgoglio per la difesa dei valori e la disciplina dell’attesa.
Tutto si impara. E spesso nel carcere si impara a diventare cattivi
perché si è “captivus”, cioè preso e collocato in un luogo dai
“ristretti orizzonti”, come gli animali in gabbia.
Non auguro il carcere a
nessuno, ma un periodo di auto-reclusione (magari in un convento a
meditare) lo consiglierei a tutti per comprendere che esiste un mondo
nascosto, parallelo, assurdo… e per tanti altri motivi: per
imparare la lezione del silenzio e della riflessione; per ridare
valore alla parola e contrastare la confusione; per un apprendistato
che abitui alla gestione sobria e comunitaria e per disabituarci
alla babele dell’individualismo e del liberismo sfrenato; per una
comprensione profonda dell’amicizia possibile con ogni essere
umano; per tessere relazioni anche con i nemici, i diversi, i
lontani; per capire la povertà dei poveri, la carenza di cultura,
del possesso della lingua e il grave pericolo dell’ignoranza e
della stupidità umana, molto più dannoso della malvagità stessa.
In carcere, poi, sono
stato “adottato” come prigioniero per reati di opinione da
Amnesty International. Tutti dovremmo iscriverci e versare ad AI una
“decima” in qualsiasi gruppo o associazione in cui siamo
impegnati! Il lavoro di Amnesty è unico! Nel 1979 ci furono le prime
elezioni europee e questa associazione aveva denunciato la presenza
di persone perseguitate per motivi di opinione in Italia. Le elezioni
europee non dovevano trovare uno stato italiano in difetto rispetto a
quei diritti umani la cui difesa, da Beccaria a Altiero Spinelli ed
Ernesto Rossi, ci aveva reso degli antesignani esemplari e questo fu
forse un motivo che mi fece scarcerare poco prima di quelle elezioni
con 2 mesi di anticipo sulla pena di 7 mesi.
Cosa porti dentro di
quel periodo?
È stato un periodo
“mitico”. Ho conosciuto in un solo anno tanti mondi differenti.
Per primi ho conosciuto “i meridionali” e da allora mi sento un
calabrese di adozione. Mi sono innamorato di quella terra
straordinaria e ho capito che tutto il mondo è paese. Ho assistito
al primo nucleo di giovani che, aggregati da un prete straordinario
come don Italo Calabrò, hanno rifiutato di migrare al nord cercando
di ricostruire in terra di ‘ndrangheta focolai di giustizia
sociale, di rispetto e di rifiuto delle logiche violente. Ho dormito
per 12 mesi in un prefabbricato della Caritas che agli occhi della
gente era un mini-manicomio, ma in realtà lì si realizzava,
attraverso l’ergoterapia, l’alternativa agli ospedali
psichiatrici di cui Basaglia era allora l’anticipatore. Sono
entrato nella malattia mentale e da lì ho iniziato a non aver paura
del diverso e di temere piuttosto le istituzioni totali: questo è il
seme che ha dato inizio all’associazione “Il Portico”, nato a
Dolo pochi anni dopo con tanti altri amici che ancor oggi condividono
quelle idee (da Melito Porto Salvo, dove ho svolto il Servizio
Civile, sono venuti a trascorrere le vacanze con noi anche quest’anno
12 persone, 9 delle quali con disabilità mentale. Dopo quasi 40 anni
il contatto che ho aperto con gli amici di Reggio Calabria è ancora
attivo! Non è incredibile? Spero che a tutti i giovani venga la
voglia di prolungare nel tempo i contatti unici e preziosi che si
intrecciano durante il Servizio Civile!)
Ho conosciuto la
solidarietà di tanti amici che hanno sostenuto la mia scelta
radicale anche nella lotta politica nonviolenta contro uno stato che
ancor oggi è ciecamente militarista e che non trova opposizione
significativa nemmeno nella Chiesa (è il caso di dire, a proposito
di papa Francesco, che “un papa non fa primavera” se tutte le
altre rondini non arrivano negli stessi cieli).
Studiando la pedagogia ho
capito che noi impariamo tutto. La risposta violenta è un fatto
culturale ed è essenzialmente politico. Solo l’educazione toglie
l’essere umano dallo stato di ferinità, e ci stiamo riuscendo.
Alfred Adler scriveva che “La tendenza ad agire per il bene
comune è piuttosto debole nell’attuale stadio dello sviluppo
dell’evoluzione, ma alla fine dovrà diventare automatica come il
respiro o il cammino in posizione eretta. La soluzione dei problemi
della società porterà alla soluzione dei nostri stessi problemi,
quindi ogni uomo è coinvolto nella soluzione dei problemi della
società in funzione del grado al quale è stato risvegliato o
appreso il suo interesse sociale”
Il motto che
l’associazione “Il Portico” ha fatto proprio è questo: “Non
dobbiamo essere in pochi a fare tanto, ma in tanti a fare un poco
ciascuno”… dobbiamo sempre coinvolgere le persone che ci
stanno attorno. Con discrezione, ma con fermezza. È più facile fare
le cose individualmente che appassionare gli altri e farle assieme. «
Da solo, cammino più veloce, insieme, camminiamo più lontano”
(proverbio africano).
Cosa ti senti di dire
a giovani del servizio civile e alle nuove generazioni che vengono a
contatto con questa realtà?
Direi le stesse parole di
Piero Pinna, il primo obiettore di coscienza italiano: “Vi prego
di guardare bene. Chi vi parla non è chi apparentemente vi sta di
fronte, ma un giovane di non più di vent’anni, quel giovane che
quasi mezzo secolo fa faceva obiezione di coscienza. Semplicemente
come tale egli vi parla, come se fosse allora, ed i decenni trascorsi
ad oggi tra le mille discussioni in cui si è venuto a trovare,
farcite di tematiche e problematiche e analisi e teorie e modelli
d’ogni genere in materia di pace e di guerra, non abbiano spostato
in nulla quella sua originaria persuasione; e semmai siano serviti,
quegli anni e discussioni, a renderlo sempre più convinto che quei
miliardi di parole nella loro pretesa razionalità, scientificità e
realismo a null’altro approdino che ai risaputi falsi sillogismi
“che fanno in basso batter l’ali”; e alla resa dei conti, a
condurre quel basso volo a sfracellarsi nel baratro della guerra.
Sempre più persuaso che, se non vogliamo arrivare a quel tragico
epilogo, prima che in quella voragine mortale ci si trovi in un
silenzio ghiacciato dove ogni voce suona ormai assurda, pietrificata,
vacua, non vi sia che da pronunciare una sola parola: no
alla guerra, ad ogni guerra, fatta da chiunque, per qualsiasi
ragione”.[ Pietro Pinna “La mia obbiezione di
coscienza”, Edizioni del Movimento Nonviolento, 1994, Appendice
3]
Parole e concetti
analoghi si trovano anche nel libro di Alberto Trevisan “Ho
spezzato il mio fucile”, ma so che avete intervistato
precedentemente questo mio amico e maestro.