Del perchè li
ammazzerei tutti e non lo faccio.
Storia di un anno
(ed anche di più) da OLP.
La prima volta che lessi la sigla
OLP pensai immediatamente all'Organizzazione per la Liberazione della
Palestina. Dopo pochi secondo l'amara realtà si rivelò: “Operatore locale di
progetto”.
“Sarebbe?!” “Devi star dietro ad
uno o più volontari” “ah...”
Dopo il primo anno di smarrimento
fare l'OLP mi era piuttosto chiaro: progetto, attività, formazione ed una buona
dose di belle esperienze.
Il 2014 si profilava come
un'ulteriore anno di lavoro con i volontari, pareva essere una situazione
“ordinaria” ma avrei dovuto già sapere che di ordinario nell'avere a che fare
con i volontari di Servizio Civile Nazionale non c'è nulla.
Mi fermo e capisco che bere
durante le selezioni non aiuta a fare un buon lavoro.
Due. Volontarie. Donne.
O-MIO-DIO.
Due, volontarie, donne. E pure
intelligenti, capaci e preparate (non montatevi la testa).
“Caro Facchin” mi sono detto
“stavolta tocca impegnarsi”.
Anche per il 2014 la sensazione
che spesso mi ha accompagnato è quella del titolo di questo breve testo (li
ammazzerei tutti) ora vi spiego perché non lo faccio.
Mi fanno saltare su tutte le
furie, dentro di me, talvolta, quando mi accorgo che, nella quotidianità del
lavoro, si perdono i concetti ed i valori che ispirano il servizio civile,
schiacciati dall'incombenza, dalla scadenza e tutto ciò ha come effetto la
rapida trasformazione del servizio civile in lavoro. E lì li ammazzerei tutti.
Vorrei urlare loro (anche alle mie due volontarie, a volte) “non dovete
comportarvi da lavoratori, ma da volontari, fate valere il vostro servizio. Se
lo considerate un lavoro, capirete facilmente che assomiglia più ad uno
sfruttamento”. Contemporaneamente, però, mi accorgo che invece c'è nei
volontari una tenacia, una passione, una voglia di imparare, di contribuire, di
FARE che è il sale, anzi, il sugo del sale del servizio civile.
Francesca e Silvia mi hanno
spinto a mettermi in gioco oltre il mio normale ruolo, a farmi ridere più di
quello che normalmente faccio e a farmi riconsiderare alcune cose che credevo
di conoscere bene. Insomma, alla fine, mentre formavo loro, formavo me stesso e
le mie competenze.
Durante quest'anno abbiamo messo
in atto il progetto declinandolo in tutte le sue attività. Non sono mancati i
momenti di scontro ma neppure quelli di splendida armonia. Ed ammetto che sia
io sia loro in più occasioni ci siamo trovati davanti alla scelta fatidica:
“voglio avere ragione o voglio stare sereno?” E sono certo che più volte
abbiamo rinunciato alla ragione. Ma non per ignavia né per poca voglia di fare
ma perché procedere sereni ci avrebbe permesso di costruire qualcosa di
migliore dell'avere ragione in una singola occasione.
Quest'anno ci ha visto seduti
sotto un gazebo in attesa di dare informazioni, dietro ad una cattedra a
raccontare la nonviolenza ed il servizio civile a studenti a volte interessati
a volte da interessare, ci ha visti all'Università, a fare orientamento sulle
possibilità lavorative post servizio civile. A stare dietro al computer a
cercare di migliorare la nostra immagine, la nostra comunicazione, a metterci
al passo coi tempi. E potrei continuare parlando del perché quest'anno ha avuto
a che fare con mamme che spingono bambini sull'altalena per noi o finte sedute
di psicologia, ma questa è una sorpresa.
Per concludere, posso dire con
certezza che si è trattato di un anno da ricordare, capace di insegnarmi e
mostrarmi cose che avevo scordato o finto di non vedere. Ma, soprattutto, di
ricordare che ogni progetto di servizio civile è un progetto unico, con una sua
realtà ed un proprio sviluppo. Pensare di applicarvi metodologie o approcci
uguali per progetti diversi risulta fallimentare. Non perché i progetti
cambiano ma perché le persone sono tutte meravigliosamente diverse.
Andrea Facchin