lunedì 12 gennaio 2015

Andrea Facchin_OLP dell'Ufficio Servizio Civile del Comune di Venezia



Del perchè li ammazzerei tutti e non lo faccio.
Storia di un anno (ed anche di più) da OLP.

La prima volta che lessi la sigla OLP pensai immediatamente all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Dopo pochi secondo l'amara realtà si rivelò: “Operatore locale di progetto”.
“Sarebbe?!” “Devi star dietro ad uno o più volontari” “ah...”
Dopo il primo anno di smarrimento fare l'OLP mi era piuttosto chiaro: progetto, attività, formazione ed una buona dose di belle esperienze.
Il 2014 si profilava come un'ulteriore anno di lavoro con i volontari, pareva essere una situazione “ordinaria” ma avrei dovuto già sapere che di ordinario nell'avere a che fare con i volontari di Servizio Civile Nazionale non c'è nulla.
E dunque, dopo un'ardua selezione, sono arrivate Francesca e Silvia. Due. Volontarie. Donne.
Mi fermo e capisco che bere durante le selezioni non aiuta a fare un buon lavoro.
Due. Volontarie. Donne.
O-MIO-DIO.
Due, volontarie, donne. E pure intelligenti, capaci e preparate (non montatevi la testa).
“Caro Facchin” mi sono detto “stavolta tocca impegnarsi”.
Anche per il 2014 la sensazione che spesso mi ha accompagnato è quella del titolo di questo breve testo (li ammazzerei tutti) ora vi spiego perché non lo faccio.
Mi fanno saltare su tutte le furie, dentro di me, talvolta, quando mi accorgo che, nella quotidianità del lavoro, si perdono i concetti ed i valori che ispirano il servizio civile, schiacciati dall'incombenza, dalla scadenza e tutto ciò ha come effetto la rapida trasformazione del servizio civile in lavoro. E lì li ammazzerei tutti. Vorrei urlare loro (anche alle mie due volontarie, a volte) “non dovete comportarvi da lavoratori, ma da volontari, fate valere il vostro servizio. Se lo considerate un lavoro, capirete facilmente che assomiglia più ad uno sfruttamento”. Contemporaneamente, però, mi accorgo che invece c'è nei volontari una tenacia, una passione, una voglia di imparare, di contribuire, di FARE che è il sale, anzi, il sugo del sale del servizio civile.
Francesca e Silvia mi hanno spinto a mettermi in gioco oltre il mio normale ruolo, a farmi ridere più di quello che normalmente faccio e a farmi riconsiderare alcune cose che credevo di conoscere bene. Insomma, alla fine, mentre formavo loro, formavo me stesso e le mie competenze.
Durante quest'anno abbiamo messo in atto il progetto declinandolo in tutte le sue attività. Non sono mancati i momenti di scontro ma neppure quelli di splendida armonia. Ed ammetto che sia io sia loro in più occasioni ci siamo trovati davanti alla scelta fatidica: “voglio avere ragione o voglio stare sereno?” E sono certo che più volte abbiamo rinunciato alla ragione. Ma non per ignavia né per poca voglia di fare ma perché procedere sereni ci avrebbe permesso di costruire qualcosa di migliore dell'avere ragione in una singola occasione.
Quest'anno ci ha visto seduti sotto un gazebo in attesa di dare informazioni, dietro ad una cattedra a raccontare la nonviolenza ed il servizio civile a studenti a volte interessati a volte da interessare, ci ha visti all'Università, a fare orientamento sulle possibilità lavorative post servizio civile. A stare dietro al computer a cercare di migliorare la nostra immagine, la nostra comunicazione, a metterci al passo coi tempi. E potrei continuare parlando del perché quest'anno ha avuto a che fare con mamme che spingono bambini sull'altalena per noi o finte sedute di psicologia, ma questa è una sorpresa.
Per concludere, posso dire con certezza che si è trattato di un anno da ricordare, capace di insegnarmi e mostrarmi cose che avevo scordato o finto di non vedere. Ma, soprattutto, di ricordare che ogni progetto di servizio civile è un progetto unico, con una sua realtà ed un proprio sviluppo. Pensare di applicarvi metodologie o approcci uguali per progetti diversi risulta fallimentare. Non perché i progetti cambiano ma perché le persone sono tutte meravigliosamente diverse.

Andrea Facchin