“Siamo come un computer:
abbiamo un hardware e un software..”
“Il volontario è come una bricola: deve essere un
punto fermo per chi ne ha bisogno in modo tale che tutti possano attraccare la
loro barca in ogni momento di necessità.”
Questo è il pensiero di Salvatore, un coraggioso
volontario di Protezione Civile con il quale abbiamo avuto l’occasione di
chiacchierare; interviene nel gruppo di Venezia Terraferma nel nucleo
disinfestazione ed ha un’esperienza decennale in questo campo.
Con lui abbiamo parlato del suo ultimo intervento avvenuto
successivamente la scossa in Emilia del 20 maggio 2012 prestando servizio nel
campo Veneto di San Felice sul Panaro
sia nel momento dei primi
soccorsi che nel periodo dedicato all’assistenza degli sfollati.
Le aree di ricovero erano suddivise in tre campi: Campo della
Misericordia, gestito dai volontari trentini; Campo Veneto e la scuola media
Pascoli che accoglieva gli anziani. I campi erano strutturati in tende, cucine
e servizi ed erano gestiti dal Centro Operativo Comunale.
Nell’organizzazione
del Campo Veneto il gruppo degli specialisti in disinfestazione aveva il
compito di prevenire la trasmissione dei patogeni, dato l’uso massivo delle
strutture, lavorando a stretto contatto con la Asl locale e seguendo le direttive del medico
veterinario.
Il
loro incarico però si è fatto più difficile del previsto perché non si limitava
alla sola gestione della disinfestazione del campo, ma veniva coinvolta anche
la sfera emotiva e relazionale. La situazione era gravata dalla eterogeneità
delle persone sfollate, infatti le diversità delle culture, delle religioni e
delle abitudini compromettevano la comunicazione e la comprensione delle
esigenze. Questo creava alcuni disagi nell’integrazione e nello svolgimento
della quotidianità ed ha avuto ripercussioni in un secondo momento nella
gestione tecnica del campo e nel censimento delle persone.
Una
conquista per i volontari è stata ricevere la fiducia delle persone che con il
tempo sono riusciti ad aprirsi ed a confidare i loro pensieri: “Era una
soddisfazione, data la generale situazione di instabilità, riuscire a creare un ambiente coeso e di
famigliarità”.
“Per
quanto riguarda il rapporto tra i volontari, fondamentale è stato lo spirito di
gruppo che era la carica della macchina del lavoro. C’era molto spirito di
partecipazione e la voglia di essere utili era talmente tanta che a volte si
rischiava addirittura di andare oltre i propri limiti. Per questo era
importante rispettare i rispettivi ruoli cercando di stare sempre con i piedi
ben piantati nella realtà”. D’altra parte in queste situazioni non c’è corso di
addestramento che tenga; come dice Salvatore: “Siamo come un computer:
abbiamo un hardware che è la base portante del nostro essere e un software che è in continua
rielaborazione, con sempre nuove versioni aggiornate in base alle nuove esperienze e conoscenze”.
Nonostante
la pesantezza e le fatiche sono tanti i ricordi, gli insegnamenti positivi e le
soddisfazioni che i volontari porteranno sempre con loro. “Sono i piccoli
gesti, come un semplice grazie o una
chiacchierata amichevole con uno sconosciuto, a riempire il cuore più di ogni
altra cosa. Queste situazioni ci insegnano a guardare le persone in modo
diverso, ad andare al di là delle apparenze aiutandoci a togliere la maschera
della freddezza che solitamente ci accompagna nella quotidianità”.
È per questo che Salvatore
incoraggia noi giovani ad intraprendere un’esperienza simile senza timore
perché l’importante non è il quanto si riesce a fare ma il come lo si fa.
La grande soddisfazione
è sapere di poter aiutare incondizionatamente e poter crescere volta per volta
arricchendosi sempre di nuove emozioni!
Caterina e Alessandra,
volontarie di servizio civile per il progetto di Protezione Civile.