lunedì 20 febbraio 2017




Il soldato senza fucile

 

 Riflessioni a tiepido su La battaglia di Hacksaw Ridge

(di Francesco Pasquale - Servizio Civile)



Risultati immagini per locandina hacksaw ridgeL’ultima potentissima, spiazzante, cruenta pellicola del regista di Braveheart è sicuramente uno di quei film che si possono dire “una bomba”. Ripenso, ovviamente, a quanto impressionante sia la ricostruzione della battaglia di Okinawa rappresentata per tutta la seconda metà dell’opera. Non è facile assistere a un film che mostri in maniera così cruda la brutalità della guerra del Pacifico, forse la più sanguinosa ed efferata delle guerre del Novecento. È indubbio che la visione così realistica e impattante di mutilazioni non possa suscitare la disapprovazione, per non dire disgusto, per i conflitti bellici e il mondo militare.
Riavvolgendo il discorso, d’altro canto, ci si chiede: di cosa parla La battaglia di Hacksaw Ridge? Si tratta di una narrazione eroica della vera storia Desmond Doss, caporale della 77ª divisione fanteria dell’esercito statunitense, arruolatosi volontario nel 1942 successivamente all’attacco di Pearl Harbour. Cosa rende la storia di Doss degna di essere raccontata?
Il fatto che il caporale fu il primo obiettore di coscienza ad essere insignito della Medal of Honor, la più alta decorazione militare degli Stati Uniti. Obiettore di coscienza? Sì, Doss si arruolò nell’esercito con l’intenzione di prestare servizio medico sul campo rifiutandosi di toccare le armi e commettere omicidio. Allora si tratta di un film pacifista? No, per niente.
La battaglia di Hacksaw Ridge si divide in due parti. Nella prima parte vediamo il giovanissimo Doss crescere nella sua cittadina rurale della Virginia. Figlio di un carpentiere e di una madre profondamente devota alla sua fede religiosa (è avventista del settimo giorno). Il ragazzo cresce tra le difficoltà di un padre violento e dedito all’alcol, conseguenze della traumatica esperienza di combattente della prima guerra mondiale, e gli amorevoli insegnamenti della madre, gli avventisti, infatti, si distinguono dalle altre confessioni cristiane per la centralità dell’insegnamento evangelico della nonviolenza (fino a sostenere scelte alimentari come quella del vegetarianesimo). Il difficile ambiente domestico in cui Desmond si trova a vivere, botte e cinghiate immotivate sono all’ordine del giorno in casa Doss, lo portano sempre di più a rifiutare la violenza facendo nascere dentro di sé il desiderio di intraprendere la carriera medico-infermieristica.
A seguito dell’incursione giapponese a Pearl Harbour, dopo l’arruolamento di molti suoi amici e di suo fratello, Desmond sceglie di fare domanda all’esercito per servire il suo Paese, pur mantenendo il proposito di non ricorrere a nessun tipo di violenza. Ostracizzato dai camerati nel periodo di addestramento, insultato dai superiori, Doss viene quindi arrestato per insubordinazione, subendo un processo militare. La sua convinzione è così forte che non si fermerà nemmeno di fronte alla possibilità di essere condannato a morte. Sarà l’intervento del padre, venuto in contatto con un suo vecchio superiore, a salvarlo da una pericolosissima diatriba giudiziaria. Inquadrato come medico militare, Desmond sarà quindi inviato in missione a Okinawa.
La seconda parte del film tratterà con esasperato realismo le imprese dell’esercito militare nella battaglia che decreterà l’inizio dell’invasione statunitense del Giappone, ma soprattutto il grande contributo di Doss nella cura e nel salvataggio dei feriti.
La pellicola, infine, si conclude con immagini di repertorio e vere interviste ai protagonisti della storia.
Ciò che voglio trattare, è un grande interrogativo postomi dal film, ovvero cosa voglia effettivamente comunicare. Le diverse recensioni che si trovano in rete sembrano per la maggior parte concordare su un messaggio pacifista della pellicola, in cui la guerra viene rappresentata come la vera antagonista della vicenda
e Desmond Doss l’eroe che la combatte con il suo coraggio e sensibilità. Questo è effettivamente quanto vorrebbe raccontare il trailer che è stato proiettato nel periodo precedente all’uscita delle sale, tanto da sorprendere molti critici che conoscevano Mel Gibson come un personaggio tutt’altro che pacifista. E in effetti, chiunque potesse avere dei dubbi, non si è sbagliato. La storia di Desmond Doss raccontata dal regista non è altro che una trasposizione più politically correct dei suoi temi più amati: l’eroismo e il patriottismo. Non voglio ora addentrarmi nella vera vita del protagonista del film, ammetto di aver consultato altre fonti biografiche al riguardo, ma dopo aver visto La battaglia di Hacksaw Ridge non si può non cogliere l’ipocrisia che stia alla base del personaggio narrato da Gibson.
La scelta di non imbracciare le armi per ragioni etiche è certamente l’esempio più noto di obiezione di coscienza che la storia conosca. Alla base delle motivazioni di Doss sottostanno forti spinte religiose e personali che gli impediscono di disobbedire al quinto comandamento biblico: non uccidere. Spiazzante è quindi la scelta del giovane di arruolarsi volontario nella fanteria statunitense impegnata nella seconda guerra mondiale. In che modo, infatti, la scelta indossare una divisa militare per prestare soccorso a dei combattenti in missione eviterebbe di essere compartecipe al peccato di omicidio? Sono proprio i dialoghi che svelano le contraddizioni dell’etica di Desmond Doss. Alla domanda del giudice militare del perché abbia voluto arruolarsi pur rifiutandosi di abbracciare un fucile, la risposta della recluta appare estremamente ambigua: l’incursione aerea di Pearl Harbour è stato un attacco che l’ha «preso sul personale» (cito a memoria) maturando il desiderio di servire il suo Paese.
A scanso di equivoci, ritengo necessario valutare il contesto storico-sociale in cui si svolge la vicenda
Francesco Pasquale
(cosa che Gibson non racconta) immaginando quanto la propaganda statunitense spingesse i cittadini a mobilitarsi in una guerra difensiva de acto, ma di reazione de facto. E sicuramente l’attacco a sorpresa dell’aeronautica nipponica, come il violento espansionismo del Reich e dell’Italia fascista in Europa, agli occhi di un qualsiasi americano potevano sembrare fattori sufficienti per considerare l’intervento militare più che legittimo. Tuttavia, l’obiezione all’uso delle armi portata avanti da Doss risulta alquanto superflua. La sua scelta, per quanto difficile e coraggiosa, si conclude per essere poco più che un infiorettamento, come la scelta di medicare il soldato giapponese con il quale si ritrova faccia a faccia nella trincea nemica, dovuta, si può evincere, più all’umana compassione che ad una etica anti-militarista (totalmente assente in Desmond Doss). Le motivazioni che portano il protagonista a svolgere il proprio servizio medico, infatti, sembrano ben lunghi dall’essere umanitarie, come quelle che impiegarono la Croce Rossa in quegli anni, quanto più di supporto allo sforzo bellico e non a caso sarà insignito di importantissimi meriti militari diventando un vero e proprio eroe di guerra.
Riassumendo, cosa sarebbe cambiato se assieme alle strumentazioni di primo soccorso Desmond Doss avesse indossato un fucile? Niente. Il suo coraggio e il merito nell’affrontare il fuoco amico e nemico per salvare quanti più commilitoni possibili non sarebbe stato meno eroico e meno encomiabile.
È qui che quindi possiamo comprendere quale messaggio voglia dare Mel Gibson con la sua Battaglia di Hacksaw Ridge: ognuno può dare un proprio contributo alla propria Patria in tempo di guerra, anche senza abbracciare un fucile, ma sostenendo attivamente chi combatte.

Francesco Pasquale